sabato 22 settembre 2012

Giorgio Bassani, Il giardino dei Finzi-Contini (Oscar Mondadori 1976) : "il verde paradiso degli amori infantili".



Affaticato e irritato dalla prosa caotica di Thomas Carlyle (di cui stavo leggendo, con tante speranze, la Rivoluzione francese), ho interrotto la lettura per cercare fra i miei libri un romanzo dilettoso, e ho trovato il Giardino dei Finzi-Contini, di Giorgio Bassani, che ho letto ora per la prima volta. Il mezzo secolo passato dalla sua pubblicazione (io avevo già vent’anni) mi ha predisposto a leggere il romanzo con simpatia, curiosità e una generica nostalgia non tanto di me stesso ventenne, quanto dell’atmosfera e delle suggestioni del mondo d’ante-guerra descritto nel libro. 
Il romanzo soddisfa quasi pienamente questo desiderio di riscoprire suggestioni antiche, emozioni adolescenziali, umorismo e cattiverie studentesche, slanci idealistici della giovinezza.
La descrizione del professor Meldolesi e della professoressa Fabiani, insegnanti di lettere e di matematica al liceo-ginnasio G. B. Guarini, è fatta con un sarcasmo leggero e un vago divertimento non privo, mi pare, di tenerezza.
La Fabiani, “di origine bolognese, vedova senza figli, oltre i cinquanta, molto di chiesa, durante le interrogazioni la vedevamo astrarsi, bisbigliando tra sé, e strabuzzando di continuo gli occhi cerulei, fiamminghi, come sul punto di essere rapita in estasi”.
Il  Meldolesi era “nato a Comacchio da famiglia contadina; educato in Seminario fino a tutto il liceo (e del prete, del piccolo, arguto, quasi femminile prete di campagna aveva moltissimo); passato poi a studiare lettere a Bologna, in tempo per assistere alle ultime lezioni di Giosue Carducci, di cui si vantava <umile scolaro>”.
I due insegnanti si recavano regolarmente nella grande e bella casa dei Finzi-Contini per dare lezioni private ai due ragazzi, Alberto e Micòl. Questi non frequentavano la scuola pubblica, perché la loro mamma, igienista fanatica, aveva paura dei microbi. Ma il padre del narratore accusava i Finzi-Contini di essere disfattisti, perché “mandare i propri figlioli alle scuole pubbliche era considerato, in genere, patriottico. Non mandarceli, disfattistico”.
I due insegnanti si sentivano onorati di poter frequentare la casa di una così importante famiglia e vi si recavano, ciascuno a modo suo, con una sorta di spirito missionario.
Sono molti i gesti, le emozioni e gli scherzi infantili e adolescenziali che Bassani sa rievocare, e questa capacità dà una affascinante freschezza alle sue pagine.
Ne è un esempio il ricordo di come gli alunni del ginnasio si arrampicassero sul predellino per sbirciare dentro la magnifica carrozza con cui i ragazzi Finzi-Contini arrivavano a scuola, per dare gli esami da privatisti. “Poteva essere anche questo un piacere, anzi lo era senz’altro: uno dei tanti avventurosi piaceri di cui erano prodighe, allora, per noi, quelle meravigliose, adolescenti mattine di tarda primavera”.
Quando il narratore viene bocciato in matematica, non sa capacitarsi di questa oscura e inaspettata tragedia. “Io, proprio io, che mai avevo subito l’umiliazione del rinvio a ottobre […] io bocciato, ridotto alla mediocrità, confuso nella massa!”. Quale promettente scolaro, per il quale i genitori hanno con cieca fiducia pronosticato un futuro da Presidente, non ha provato qualche volta la sorpresa e lo sgomento di sentirsi uno qualunque?
E quanta verità e, credo, commozione, c’è in questo ricordo infilato, apparentemente quasi per caso, fra due parentesi: “ ‘Un ragazzo della tua età’: era una delle espressioni favorite di mio padre”.
Un’altra poetica, divertente e vera caratteristica di questo mondo adolescente, diverso o estraneo al mondo degli adulti, è il gergo che parlano Alberto e Micòl: “una particolare, inimitabile, tutta privata deformazione dell’italiano”, che essi consideravano la loro vera lingua e chiamavano il finzi-continico.
Non solo le rievocazioni, ma anche i ritratti di Bassani sono veri ed espressivi. Faccio un solo esempio. Il narratore ricorda quando, da bambino, la mamma lo portava sul Montagnone e lui, eludendo la vigilanza materna, andava a sporgersi dal parapetto guardando in giù, nel baratro profondo trenta metri. “Quasi sempre, lungo la parete strapiombante, stava salendo o scendendo qualcuno: giovani muratori, contadini, manovali, ognuno con la bicicletta a tracolla, e vecchi, anche, baffuti pescatori di rane e pesci-gatto, carichi di canne e di ceste […] venivano su con certi occhi sbarrati che a me sembravano fissi nei miei, affioranti timidamente dall’orlo del parapetto, ma invece mi sbagliavo, si capisce, erano attenti unicamente a scegliere l’appiglio migliore. Ad ogni modo, mentre stavano così, sospesi sull’abisso – a coppie, per solito: uno dietro l’altro -, li udivo chiacchierare tranquilli, in dialetto, né più né meno che se si trovassero a camminare lungo un viottolo in mezzo ai campi. Come erano calmi, forti, e coraggiosi! – mi dicevo”.  
L’unico personaggio che mi sembra, invece, convenzionale e privo di profondità è Giampiero Malnate, il giovane chimico venuto da Milano, amico di Alberto Finzi-Contini, di fede comunista, che nel 1941 parte per la Russia con il Corpo di spedizione italiano e non fa più ritorno.
Io non mi soffermo sull’amore del narratore per Micòl. E’ un amore, questo, pieno di suggestioni e di aspirazioni, che chi ha vissuto con idealismo e immaginazione la propria giovinezza può capire e amare. E' più interessante analizzare il rapporto e il confronto fra Micòl e il comunista Malnate. Questi è costruito come un comunista convenzionale che verso i suoi amici più giovani ha sempre l'atteggiamento del catechizzatore e l'intenzione di accendere in loro una scintilla d’entusiasmo per ‘il sol dell’avvenire’. Malnate, però, non è un personaggio ben costruito che recita una parte convenzionale; ma è proprio un personaggio costruito, in se stesso, in modo schematico e semplicistico. Mi sembra perciò che la sua predicazione politica, anche se non mancano riferimenti alla guerra civile spagnola e ad altri importanti avvenimenti contemporanei, non abbia drammaticità. Eppure tale predicazione avrebbe potuto avere un'eco (artistica) ben più forte, proprio perché fatta fra persone che chiudevano gli occhi di fronte alla realtà e alla imminente catastrofe che si preparava in Europa. Ne sono emblematici il silenzio e l'apparente indifferenza con cui i genitori Finzi-Contini assistono allo sviluppo della malattia del figlio Alberto. I ritratti riusciti ed efficaci di Bassani sono quelli evocativi, di persone conosciute, frequentate e amate all'interno di un mondo ben circoscritto. Un personaggio come Malnate sembra introdotto dall'esterno; la sua presenza è soprattutto funzionale: serve a creare una artificiosa alternativa politica e culturale ai protagonisti del romanzo.
Il narratore sospetta che fra lui e Micòl ci sia stato un sentimento erotico, ma, alla fine, non ne è affatto sicuro. Tuttavia, quando il narratore, a metà del libro, descrive le impressioni di Micòl su Malnate, dalle obiettive parole riportate non si sfugge all'impressione che la ragazza provi davvero una attrazione fisica verso il chimico; attrazione che risulta ambigua solo perché lei, sul piano politico e intellettuale, è lontanissima da lui e gli oppone resistenza.
Secondo Micòl, “ <il> Malnate non era granché nemmeno come fisico. Troppo grande, troppo grosso, troppo ‘padre’, perché da questo lato potesse esser preso in seria considerazione. Era uno di quei tipi eccessivamente pelosi che per quante volte in una giornata si facciano la barba, hanno sempre l’aria un po’ sporca, poco lavata… Forse, ecco, per quel che se ne poteva intravedere attraverso gli occhialacci spessi un dito dietro i quali si mimetizzava (pareva che lo facessero sudare: e veniva voglia di levarglieli), forse aveva occhi non male: occhi grigi, ‘d’acciaio’, da uomo forte. Comunque, troppo seri e severi, quegli occhi”.
E’ strano: Malnate sembra più vivo qui, descritto indirettamente dal narratore con occhi di voyeur, che non quando parla lui stesso direttamente.
Mi pare che Bassani non sia bravo, in generale, a costruire i dialoghi, che sono per lo più rari, brevi e, molte volte, forzati e noiosi. E' certamente per questo motivo che ricorre spesso a lunghi discorsi indiretti, che sono un espediente pesante e poco originale, perché ricalcano, come ritmo e stile, il modo di narrare di altri scrittori (a cominciare, forse, da Manzoni).
La figura di Micòl rimane vive nella fantasia dei lettori per il suo amore per la natura (“i grandi, i quieti, i forti, i pensierosi alberi”) e per il profondo sentimento di indipendenza personale che opponeva agli sforzi di catechizzazione di Malnate, quando affermava “che a lei, del suo futuro democratico e sociale, non gliene importava nulla, che il futuro, in sé, lei lo aborriva, ad esso preferendo di gran lunga ‘le vierge, le vivace et le bel aujourd’hui’, e il passato, ancora di più, il caro, il dolce, il ‘pio’ passato”.
Il mio giudizio, in conclusione, è che Il Giardino dei Finzi-Contini è un sincero e modesto bel-romanzo.







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