Se
vogliamo una prova di quanto sia necessario questo carattere sacro della
libertà, affinché essa sia efficace nell'emancipare gli uomini, basta che consideriamo
i nostri laicissimi politici, giornalisti e maestri di libero pensiero, che credendosi
araldi di un mondo migliore, ci hanno portati a una deriva senza prospettive.
C’è
forse qualcosa di sacro nella retorica europeista di Eugenio Scalfari e di
Barbara Spinelli? O negli articoli declamatorii che lo stesso Scalfari scriveva
all’epoca del sequestro di Aldo Moro? O nella ‘vicinanza affettuosa’ a Israele
di Adriano Sofri e Marco Travaglio? (Ecco due avversari che si assomigliano
terribilmente).
Una
ispirazione ‘sacra’ ho trovato invece, con mia grande sorpresa, nelle estreme
parole del cattolico Aldo Moro, citate ora, come succede, a dritta e a manca,
anche da persone che non ne avrebbero alcun titolo morale.
“Questo
paese non si salverà. La stagione dei diritti e delle libertà si rivelerà
effimera, se in Italia non nascerà un nuovo senso del dovere”.
Per
tornare a Maistre e alle sue profezie, osservo che la giustezza, oso dire, inconfutabile
delle sue analisi è dimostrata da questa semplice constatazione: poiché i
fenomeni descritti si sono ripetuti regolarmente nel tempo, ciò significa che
le analisi che ne avevano chiarito la dinamica erano corrette.
Per
esempio, questo passo di Maistre, così ironicamente paradossale, sembra calzare
a pennello all’Unione Sovietica di Stalin, ed anche, con qualche esagerazione,
alla società sotto dispotismo democratico in cui viviamo oggi.
“Il
francese è intrepido davanti al nemico, ma non davanti all’autorità, anche la
più ingiusta. Nulla eguaglia la pazienza di questo popolo che si dichiara
libero. In cinque anni, gli hanno fatto accettare tre costituzioni e il governo
rivoluzionario. I tiranni vanno e vengono, e il popolo obbedisce sempre.
I
suoi padroni sono arrivati a fulminarlo, facendosi beffe di lui. Gli hanno
detto: ‘Voi credete di non volere questa legge, ma siate sicuri che voi la
volete. Se osate rifiutarla, spareremo su di voi a mitraglia, per punirvi di
non volere ciò che voi volete’. E l’hanno fatto” (pag. 135).
E
quest’altra affermazione di Maistre non sembra un vaccino contro il dispotismo
di chi vuole il nostro bene anche contro di noi?
“E’
una verità sicura come una proposizione matematica che nessuna grande
istituzione può nascere da una deliberazione, e che le opere umane sono fragili
in proporzione al numero di uomini che vi partecipano e all’apparato di scienza
e di ragionamento che vi si dispiega a priori” (pag. 102).
Come
non pensare subito all'Unione Europea, immenso mostro burocratico calato
dall'alto della ‘ragione’? E come non pensare, quanto ad affollamento di
partecipanti, a tutte le assemblee e consigli che pullulavano in Italia negli
anni Settanta del Novecento e che sono spariti come nebbia, senza aver fatto
niente, senza lasciare traccia, o forse solo cattive abitudini? Consigli
d’istituto, di classe, di zona, di fabbrica, di quartiere, d'ufficio, di
redazione, ecc. ecc.
Le
critiche di Omodeo a Maistre, sotto una forma insopportabilmente
accademica, sono tutte prevedibili, e penso che, lungi dall'essere una utile introduzione
alla lettura e comprensione del ‘conte reazionario’, ne siano un vero e
proprio travisamento.
In
queste ‘Considérations sur la
France’, che è l’unico libro di Maistre che conosco, ho
sentito una grande mente, un grande spirito, una grande libertà di pensiero, di
cui, negli schematismi di Omodeo, non trovo nemmeno l’ombra.
A
pag. 92, Omodeo cita, come prova della ‘mentalità radicalmente gesuitica’ di Maistre, un suo lungo passo, di cui dà una
interpretazione assolutamente letterale, e che potrebbe benissimo, invece, essere inteso in maniera opposta.
Mi
sembra più credibile l’accusa che già Mallet du Pan aveva rivolto ai giacobini
nel 1792.
“La
creazione dei club ha asservito la
Francia intera ai giacobini. Quando i giacobini hanno dovuto
scegliere fra il dominio di questi concistori e quello della costituzione, essi
non hanno esitato: la costituzione è stata sacrificata; 1200 associazioni,
facenti capo a un centro comune, hanno rinnovato il regime dei gesuiti. Esse
sono state poste al di sopra delle leggi, e sono state fatte leggi apposite per
legittimare le loro infrazioni” (Mémoires et corresp., v. 1, pag. 276).
Che
i rivoluzionari tendano a scivolare irrimediabilmente verso forme di gesuitismo, è stato
detto e ridetto (ricordo il bellissimo libro di Enzo Bettiza, Il mistero di
Lenin).
Ma
se si vuole vedere in faccia il gesuitismo ripugnante dei rivoluzionari, basta
leggere qualche poesia di Bertolt Brecht. Per esempio, questa:
Con
chi non siederebbe l’uomo giusto
per
aiutare la giustizia?
Quale
medicina sa troppo d’amaro
al
moribondo?
A
quale bassezza non giungeresti, per
sterminare
la bassezza?
Potessi
tu finalmente trasformare il mondo, perché
con
te stesso essere troppo buono?
Tu,
chi sei?
Affoga
nella lordura,
abbraccia
il boia, ma
trasforma
il mondo: ne ha bisogno!
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