mercoledì 15 agosto 2012

Joseph de Maistre, Considérations sur la France. Nouv. éd. - Lyon-Paris, 1829. - Adolfo Omodeo, Un reazionario: il conte J. de Maistre. Bari, 1939. - Seconda Parte.



Se vogliamo una prova di quanto sia necessario questo carattere sacro della libertà, affinché essa sia efficace nell'emancipare gli uomini, basta che consideriamo i nostri laicissimi politici, giornalisti e maestri di libero pensiero, che credendosi araldi di un mondo migliore, ci hanno portati a una deriva senza prospettive.
C’è forse qualcosa di sacro nella retorica europeista di Eugenio Scalfari e di Barbara Spinelli? O negli articoli declamatorii che lo stesso Scalfari scriveva all’epoca del sequestro di Aldo Moro? O nella ‘vicinanza affettuosa’ a Israele di Adriano Sofri e Marco Travaglio? (Ecco due avversari che si assomigliano terribilmente).
Una ispirazione ‘sacra’ ho trovato invece, con mia grande sorpresa, nelle estreme parole del cattolico Aldo Moro, citate ora, come succede, a dritta e a manca, anche da persone che non ne avrebbero alcun titolo morale.
“Questo paese non si salverà. La stagione dei diritti e delle libertà si rivelerà effimera, se in Italia non nascerà un nuovo senso del dovere”.
Per tornare a Maistre e alle sue profezie, osservo che la giustezza, oso dire, inconfutabile delle sue analisi è dimostrata da questa semplice constatazione: poiché i fenomeni descritti si sono ripetuti regolarmente nel tempo, ciò significa che le analisi che ne avevano chiarito la dinamica erano corrette.
Per esempio, questo passo di Maistre, così ironicamente paradossale, sembra calzare a pennello all’Unione Sovietica di Stalin, ed anche, con qualche esagerazione, alla società sotto dispotismo democratico in cui viviamo oggi.
“Il francese è intrepido davanti al nemico, ma non davanti all’autorità, anche la più ingiusta. Nulla eguaglia la pazienza di questo popolo che si dichiara libero. In cinque anni, gli hanno fatto accettare tre costituzioni e il governo rivoluzionario. I tiranni vanno e vengono, e il popolo obbedisce sempre.
I suoi padroni sono arrivati a fulminarlo, facendosi beffe di lui. Gli hanno detto: ‘Voi credete di non volere questa legge, ma siate sicuri che voi la volete. Se osate rifiutarla, spareremo su di voi a mitraglia, per punirvi di non volere ciò che voi volete’. E l’hanno fatto” (pag. 135).
E quest’altra affermazione di Maistre non sembra un vaccino contro il dispotismo di chi vuole il nostro bene anche contro di noi?
“E’ una verità sicura come una proposizione matematica che nessuna grande istituzione può nascere da una deliberazione, e che le opere umane sono fragili in proporzione al numero di uomini che vi partecipano e all’apparato di scienza e di ragionamento che vi si dispiega a priori” (pag. 102).
Come non pensare subito all'Unione Europea, immenso mostro burocratico calato dall'alto della ‘ragione’? E come non pensare, quanto ad affollamento di partecipanti, a tutte le assemblee e consigli che pullulavano in Italia negli anni Settanta del Novecento e che sono spariti come nebbia, senza aver fatto niente, senza lasciare traccia, o forse solo cattive abitudini? Consigli d’istituto, di classe, di zona, di fabbrica, di quartiere, d'ufficio,  di redazione, ecc. ecc.
Le critiche di Omodeo a Maistre, sotto una forma insopportabilmente accademica, sono tutte prevedibili, e penso che, lungi dall'essere una utile introduzione alla lettura e comprensione del ‘conte reazionario’, ne siano un vero e proprio travisamento.
In queste ‘Considérations sur la France’, che è l’unico libro di Maistre che conosco, ho sentito una grande mente, un grande spirito, una grande libertà di pensiero, di cui, negli schematismi di Omodeo, non trovo nemmeno l’ombra.
A pag. 92, Omodeo cita, come prova della ‘mentalità radicalmente gesuitica’  di Maistre, un suo lungo passo, di cui dà una interpretazione assolutamente letterale, e che potrebbe benissimo, invece,  essere inteso in maniera opposta. 
Mi sembra più credibile l’accusa che già Mallet du Pan aveva rivolto ai giacobini nel 1792.
“La creazione dei club ha asservito la Francia intera ai giacobini. Quando i giacobini hanno dovuto scegliere fra il dominio di questi concistori e quello della costituzione, essi non hanno esitato: la costituzione è stata sacrificata; 1200 associazioni, facenti capo a un centro comune, hanno rinnovato il regime dei gesuiti. Esse sono state poste al di sopra delle leggi, e sono state fatte leggi apposite per legittimare le loro infrazioni” (Mémoires et corresp., v. 1, pag. 276).
Che i rivoluzionari tendano a scivolare irrimediabilmente verso forme di gesuitismo, è stato detto e ridetto (ricordo il bellissimo libro di Enzo Bettiza, Il mistero di Lenin).
Ma se si vuole vedere in faccia il gesuitismo ripugnante dei rivoluzionari, basta leggere qualche poesia di Bertolt Brecht. Per esempio, questa:

Con chi non siederebbe l’uomo giusto
per aiutare la giustizia?
Quale medicina sa troppo d’amaro
al moribondo?
A quale bassezza non giungeresti, per
sterminare la bassezza?
Potessi tu finalmente trasformare il mondo, perché
con te stesso essere troppo buono?
Tu, chi sei?
Affoga nella lordura,
abbraccia il boia, ma
trasforma il mondo: ne ha bisogno!

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