“[...] E’ noto che sui giacobini egli torna più e più volte. Essi costituiscono la fazione attiva e dominante. Nessuno, tranne Burke, ha compreso con tanta profondità il loro fanatismo, i loro istinti e i loro procedimenti di settari, la concatenazione dei loro dogmi, il loro ascendente sugli spiriti incolti o semicolti, la forza della loro propaganda, la potenza e la malvagità del loro sogno, la loro attitudine a distruggere, la loro incapacità di costruire, il loro appello alle passioni corruttrici e omicide, l’intimo meccanismo grazie al quale la loro dottrina trasforma un letterato mediocre o un utile artigiano in un filosofo armato di picca e lo porta dall’ignoranza alla presunzione, dall’entusiasmo al crimine, facendogli credere che sta salvando la patria e rigenerando l’umanità. Finalmente, ecco della storia viva, la storia delle passioni reali e delle volontà che hanno agito; possiamo toccarle, stringerle, distinguere la loro qualità, comprendere la loro origine, seguirne lo sviluppo, intenderne l’opera; possiamo dimenticare la litania dei giornali, il guazzabuglio dei pamphlet, le arringhe dalle tribune e nei club, i chilometri di chiacchiere astratte, le frasi vuote che imbrogliano sia l’oratore che l’uditorio, i ragionamenti fatti di sole parole che nascondono il vuoto dei cervelli. Finalmente possiamo osservare la Rivoluzione non più attraverso le illusioni della distanza, nel miraggio della leggenda, accompagnati dal frastuono del dramma, ma faccia a faccia, in se stessa, così com’è stata, cioè come era nel cuore e nella testa di coloro che l’hanno fatta.
Il procedimento della
Rivoluzione è il metodo deduttivo, che, trascurando l’osservazione, disdegnando
l’esperienza e la storia, costruisce la società secondo un assioma preconcetto.
Il suo punto di partenza
è un contratto sociale chimerico, concluso all’inizio fra individui fittizi,
talmente mutilati dall’astrazione che sono a malapena frammenti d'uomo. Per
trasformarli in unità identiche, li si è equiparati a semplici zero.
Scopo e opera della
Rivoluzione è il socialismo egualitario e anticristiano, cioè l’onnipotenza
dello Stato, il sacrificio totale dell’individuo, l’ingerenza dell’autorità
pubblica in tutti i campi della vita privata......; insomma, la creazione di una specie
di convento agricolo e militare, un convento di Spartiati patrioti, entusiasti,
rudi, sobri, ricondotti alla natura con la forza e secondo la formula di
Jean-Jacques Rousseau. [...] Dal 1789 fino al Consolato, le sue massime hanno
costituito il catechismo ufficiale.
[...] Noi comprendiamo
perché i giudizi di Mallet du Pan sono così duri. Non solo egli era perspicace,
sapendo vedere i fatti dietro le parole e le conseguenze pratiche dietro la
teoria, ma, in più, egli era, per principio, riflessione e carattere, un
liberale.
[...] Una simile
concezione liberale conviene ad un’anima fiera e proba. Mallet metteva in
pratica ciò che insegnava.
Senza denaro, con una
famiglia da mantenere, vivendo solo della sua penna, Mallet non ha mai
subordinato le sue opinioni ai suoi interessi.
In ogni occasione, egli
pensava con la propria testa: nessuna sollecitazione, promessa o minaccia può
scalfire la sua indipendenza.
Prima del 1789, a volte
un ministro o gli uffici governativi sopprimevano o mutilavano i suoi articoli,
ma non ottenevano da lui alcun gesto né di acquiescenza né di reticenza, e, se
non poteva riuscire gradito, rimaneva povero, in mezzo a tanti scrittori
prezzolati.
Dopo il 1789, Mallet era
esposto ai furori dei club e della strada: tre mandati d’arresto, centoquindici
denunce, quattro assalti della folla contro la sua casa, la confisca di tutte
le sue proprietà in Francia, ecco la sua parte nella Rivoluzione.
[...] Dire la verità
apertamente e liberamente, ecco il primo bisogno di un’anima seria e sincera.
[...] Un uomo simile non
ha né il tempo né il desiderio di levigare le proprie frasi; egli scrive solo
per aiutare e per sfogarsi. Ecco perché i suoi articoli non sono opere
letterarie; dello scrittore possiede solo l’eloquenza; il suo stile è aspro,
privo di sfumature, a volte scorretto; non bisogna chiedere a lui il tono
irreprensibile di Rivarol, l’altezza aristocratica e sdegnosa di Joseph De
Maistre: egli non pensa a se stesso, alla gloria, alla grande arte, alle
maniere eleganti, al ‘bon ton’; Mallet pensa solo alla sua opera, alla verità,
al bene pubblico.
[...] Il suo spirito e
il suo cuore sono colmi e straripano. Ciò provoca una grossa sorgente di acque
scroscianti, un getto potente e continuo, una corrente inesauribile di logica e
di passione che scorre diritta e abbondante; si è trascinati, non ci si ferma a
notare le pozze di schiuma, gli schizzi di fango e gli eccessi della parola
militante; si ascolta una voce virile, tesa e appassionata, un accento grave e
vibrante, il dolore di un grande spirito che si ribella allo spettacolo della
stupidità e della follia, l’indignazione di un cuore generoso ferito dal
trionfo della brutalità, della menzogna e del crimine. Senza volerlo, e solo
perché scrive di getto, egli ha spesso delle parole strazianti, delle arguzie o
delle conclusioni brusche, dei gridi smorzati, delle espressioni concise, delle
immagini di una chiarezza e di una precisione straordinarie, [...] una ampiezza
oratoria che Mirabeau non ha mai eguagliato e Burke non ha superato.
E’ bello ritrovare
l’opera di Mallet. Il pregiudizio, la moda e l’ingratitudine umana hanno potuto
seppellirla sotto la polvere delle biblioteche o nelle tenebre degli archivi.
E’ stata dimenticata o trascurata per un secolo; tutti gli storici celebri
della Rivoluzione sembrano averla ignorata (Carlyle, Thiers, Lamartine, L.
Blanc, Michelet).
Oggi viene riportata
alla luce, ed essa esce dal suo sepolcro forte, sana e viva com’era nel suo
primo giorno”.
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