Tempo fa lessi un
sintetico giudizio dello storico Franco Venturi, sulla incompiutezza della
Rivoluzione francese, che mi lasciò di stucco. Egli sosteneva, più o meno, che
per realizzare gli ideali rivoluzionari sarebbe stata necessaria una sovranità più forte e duratura dei
giacobini, e che fu una disgrazia il rovesciamento del loro governo nel luglio del 1794. Eppure Franco Venturi è morto, ottantenne, meno
di vent’anni fa e ha fatto in tempo a vedere il fallimento delle speranze di
tutte le rivoluzioni.
Ciclicamente arriva un
momento di particolare crisi, di decadimento e decrepitezza economica e sociale, di disgregazione culturale e morale, in cui il giudizio
storico sulle origini di questo caos nasce spontaneamente, diventa senso comune, alimentato e giustificato dall’esperienza
quotidiana di milioni di persone. Non sembra una prova di lucidità e di coraggio rimanere trincerati, in questi momenti
drammatici, dietro testi e discorsi di filosofi e politici
illustri, perché l’evidenza della realtà li ha travolti e spesso ridicolizzati.
Io sono stato un
comunista convinto e abbastanza fanatico. Cominciai, però, a ricredermi
(lentamente, verso la metà degli anni Sessanta; e poi velocemente, negli anni
Settanta) quando mi impegnai in una attività politica nell’ambiente di lavoro.
Benché quella attività fosse molto elementare e il mio ruolo in essa fosse
davvero semplicissimo (ne ho parlato in un’altra parte di questo blog), potei,
tuttavia, rendermi conto che le idee generali che guidavano la nostra intera
azione erano astratte, piovevano dall’alto di un olimpo burocratico, e si erano
ormai consolidate in atteggiamenti irrazionali che ignoravano di proposito la
realtà vera. Entrai presto in conflitto con i miei compagni e colleghi, che mi
sembravano dei settari pieni di pregiudizi e incapaci di umana sensibilità e
comprensione.
Tutta la mia ricerca
culturale e morale, modesta ma anche molto personale, è partita da quella
frattura, che con gli anni non ha fatto altro che allargarsi.
Non avendo maestri, ho
trovato dei libri importanti da leggere solo seguendo il mio istinto e con
l’aiuto del caso. E’ stato un procedimento vitale e abbastanza divertente, ma
molto lento.
Appena qualche anno fa,
ho avuto dal caso un aiuto tardivo ma essenziale.
Mia moglie, che ama le
parole crociate, mi chiese: “Chi ha scritto ‘Le origini della Francia
contemporanea’?”.
Io non conoscevo
quest’opera, ma ricordavo vagamente il nome di Taine. Non sapevo nemmeno di che
cosa trattasse in particolare, ma dissi a mia moglie: “Mi piacerebbe leggerla”. In internet scoprii che aveva più di tremila pagine. “Non è un
libro per te”, mi canzonò lei. “I libri così grossi li cominci, ma non li
finisci”. Sfidato con tanto sarcasmo, mi impegnai a leggere i tre volumi del
Taine e provai, già dalle prime pagine, un grandissimo piacere. Le qualità di
scrittore di Taine e il suo acume di storico e di psicologo mi lasciarono
sbalordito. La sua critica acuta e attuale del giacobinismo trovava in me un
terreno fertile, preparato dalle lunghe e deludenti esperienze fatte con i
moderni giacobini. (Incidentalmente, noto che Benedetto Croce ha criticato con
sufficienza questo capolavoro, lui che non ne ha scritto nessuno. La prosa di Croce, tra l’altro, sta alla prosa di Taine, come una statua, bella e
regolare, sia pure, ma pesante e inevitabilmente immobile, sta al corpo
elastico, vigoroso e scattante di un atleta vivo).
In ‘Le origini della Francia
contemporanea’, Taine cita spesso Jacques Mallet du Pan (1749-1800), un
giornalista che seguì la Rivoluzione da vicino. Le osservazioni di Mallet du
Pan mi sono sembrate così assennate, realistiche e sensibili, che ho voluto
leggere un’ampia raccolta di suoi articoli e lettere.
In una successiva raccolta
di lettere, pubblicata anch'essa nella seconda metà dell’Ottocento,
Hippolyte Taine scrive, come prefazione, un lungo e bel profilo biografico di
Mallet du Pan.
Siccome penso a lui con gratitudine, ne riporto alcuni brani.
Siccome penso a lui con gratitudine, ne riporto alcuni brani.
“Quattro osservatori,
comincia Taine, hanno, sin dall’inizio compreso il carattere e la portata della
Rivoluzione francese: Rivarol, Malouet, il governatore Morris e Mallet du Pan;
quest’ultimo più profondamente degli altri. Inoltre, cosa che i primi tre non
hanno fatto, Mallet ha descritto, commentato, giudicato la Rivoluzione
dall’inizio alla fine. Dal 1789 al 1800, le sue analisi e previsioni si
succedono di semestre in semestre, di mese in mese e spesso di settimana in
settimana. Se ci basiamo sui documenti originali, scopriamo che le sue analisi
sono sempre esatte; se seguiamo il corso degli avvenimenti, constatiamo che le
sue previsioni sono quasi sempre vere: fra tante persone cieche, accecate o
miopi, Mallet continua a veder chiaro e a grande distanza. In questo egli è
unico: non c’è nulla di più raro in ogni tempo, e soprattutto in quel tempo di
rivoluzione, della competenza politica. Per un singolare concorso di
circostanze, Mallet aveva una competenza politica autentica e profonda.
[...] A questa
competenza che si può acquisire, aggiungete in Mallet du Pan un talento che non
si acquista, la facoltà di vedere le anime.
[...] Questo talento
esige un tipo d’immaginazione particolare, una capacità divinatoria simile a
quella del romanziere e dello scrittore drammatico, del critico e dello
storico, ma più circospetta e più sicura, più flessibile e più ampia.
[...] Una intelligenza
abbastanza vasta da potersi rappresentare i sentimenti più diversi ed estremi,
un tatto abbastanza fine per apprezzarne l’intensità e la profondità: questo si
chiama senso politico, che Mallet possedeva in misura superiore.
[...] Sui personaggi
importanti della Convenzione e del Direttorio, su Danton e Robespierre, sui
principali termidoriani, egli ha solo informazioni incomplete, a volte
inesatte, non ha frequentato di persona gli uomini di cui parla, li vede da
lontano. Del resto Mallet presta loro poca attenzione; sa che la loro
iniziativa ha un’importanza mediocre, che non sono essi che guidano ma sono
trascinati. Sono dei nuotatori sul punto di annegare; fondamentale è invece
capire la direzione e la velocità della corrente. Ma sulle Assemblee, sui
partiti e sulle folle, i suoi giudizi sono esatti e penetranti; su questi
argomenti, io, rifacendo il suo lavoro, non l’ho mai trovato in errore.
(continua al post successivo)
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