Alexis de Tocqueville
scrive con l’intelligenza e la sensibilità che il suo bel viso esprime nel
ritratto di Théodore Chassériau. Benché il quadro sia datato 1850, quando
Tocqueville aveva 45 anni, il suo viso mi ricorda qualche raro giovinetto
studioso, aristocratico e geniale incontrato nelle aule del liceo, tanto tempo
fa.
In quest’opera la
genialità si avverte subito, già nella prefazione, di cui riporto una
paginetta.
Tocqueville, nel suo
stile calmo e preciso che mi sembra provenire direttamente da Montaigne, ricorda le opinioni che aveva già espresso, più di vent'anni prima, sulle
caratteristiche delle nuove società di massa.
“Fra le tenebre
dell’avvenire, tre verità si possono già scorgere limpidamente. La prima è che
tutti gli uomini dei nostri tempi sono trascinati da una forza sconosciuta che
si può sperare di regolare o di rallentare, ma non di vincere, e che a volte li
spinge dolcemente e a volte li precipita verso la distruzione
dell’aristocrazia; la seconda, che, fra tutte le società del mondo, quelle che
stenteranno sempre più delle altre a evitare per molto tempo di cadere sotto un
governo assoluto saranno proprio le società in cui l’aristocrazia non esiste
più e non può più esistere; la terza, infine, che in
nessun luogo il dispotismo produrrà effetti tanto dannosi quanto in tali
società [senza aristocrazia]; perché più di ogni altro sistema di governo, il
dispotismo favorisce lo sviluppo di tutti i vizi ai quali queste società sono
particolarmente soggette, e le spinge
così in quella direzione verso la quale, seguendo una inclinazione naturale,
esse tendevano già.
In queste società, gli
uomini, non più uniti da vincoli di casta, di classe, di corporazione, di
famiglia, sono già troppo inclini a preoccuparsi solo dei loro interessi
particolari, portati sempre a non considerare che se stessi e a chiudersi in un
angusto individualismo in cui ogni virtù pubblica è soffocata. Il dispotismo,
lungi dal lottare contro questa tendenza, la rende irresistibile, perché toglie
ai cittadini ogni passione comune, ogni bisogno reciproco, ogni necessità di
capirsi, ogni occasione di agire insieme; li mura, per così dire, nella vita
privata. Essi tendevano già ad appartarsi: esso li isola; erano già freddi gli
uni verso gli altri: esso li agghiaccia.
In questa società, dove
nulla è stabile, ciascuno è continuamente assillato dal timore di scendere e
dalla smania di salire; e poiché il denaro, come è divenuto il segno principale
che classifica e distingue gli uomini fra loro, così ha anche acquistato una
mobilità straordinaria passando continuamente da una mano all’altra,
trasformando la condizione degli individui, abbassando o elevando le famiglie,
non v’è quasi nessuno che non sia costretto ad uno sforzo disperato e continuo
per conservarlo o per acquistarlo.
Il desiderio di
arricchirsi a ogni costo, la passione degli affari, l’avidità di guadagno, la
ricerca del benessere e dei godimenti materiali sono pertanto, in questa
società, le passioni più comuni. Queste passioni si diffondono facilmente in
tutte le classi, penetrano fino a quelle che fino ad allora ne erano state meno
toccate, ed arriverebbero presto a snervare e degradare la nazione intera, se
niente le fermasse. Ora, il dispotismo,
per la sua essenza medesima, le diffonde e le favorisce. Queste passioni
debilitanti lo aiutano; distolgono e occupano l’immaginazione degli uomini
lontano dalla cosa pubblica e li fanno tremare alla sola idea delle
rivoluzioni.
Soltanto il dispotismo
può fornire a queste passioni il segreto e l’ombra che mettono la cupidigia a
proprio agio e permettono di realizzare profitti disonesti sfidando il
disonore. Senza di esso, le passioni sarebbero state forti; con esso, dominano.
Solo la libertà, al
contrario, può combattere efficacemente i vizi naturali di questo genere di
società e trattenerle sul pendio per cui esse scivolano. Essa sola, infatti,
può trarre i cittadini dall’isolamento in cui l’indipendenza stessa della loro
condizione li fa vivere, per costringerli a riaccostarsi gli uni agli altri, e
li scalda e li riunisce ogni giorno per la necessità di capirsi, di persuadersi
e di favorirsi reciprocamente nella pratica degli affari comuni. Essa sola è
capace di strapparli al culto del denaro e alle piccole seccature quotidiane
dei loro affari particolari, per far loro scorgere e sentire ad ogni istante la
patria, al di sopra di loro e al loro fianco. Essa sola sostituisce di tanto in
tanto all’amore del benessere passioni più energiche e più elevate, indica
all’ambizione scopi più alti che l’acquisto delle ricchezze, e crea la luce che
permette di vedere e di giudicare i vizi e le virtù degli uomini.
Le società democratiche
che non sono libere possono essere ricche, raffinate, ornate, magnifiche anche
e potenti grazie al peso della loro massa omogenea; vi si possono incontrare
virtù private, buoni padri di famiglia, onesti commercianti e proprietari degni
di stima [...]; ma in tali società non si vedranno mai, oso dirlo, dei grandi
cittadini e soprattutto un grande popolo, e non ho paura di dire che il livello
comune dei cuori e degli spiriti non cesserà mai di abbassarsi, finché
eguaglianza e dispotismo vi saranno uniti”.
Grazie alla sua alta ispirazione morale, questa pagina è precisa come una fotografia e poetica come una profezia. La società
internazionale in cui viviamo oggi è ancora quella che essa descriveva, però
ancor più decaduta e degenerata, e con sempre meno speranze di riscatto.
Ho pensato alle parole di
Tocqueville, leggendo una intervista all’architetto Renzo Piano, di cui è
stata inaugurata a Londra una torre di vetro alta 310 metri, la Shard Tower.
Per costruzioni di questa immensità, non è il caso di parlare di audacia,
perché l’audacia non è più necessaria: esse sono ormai variazioni, più o meno
suggestive, di modelli già esistenti da decenni.
Questi grandi architetti internazionali pensano forse di costruire le
moderne piramidi, ma creano soltanto immensi monumenti alla potenza delle banche e di organismi similari, molto più oppressivi, crudeli e invisibili degli antichi faraoni. Con la città da
abitare, è chiaro, queste opere non hanno niente a che fare: esse possono
nascere solo in una società dispotica, con lo scopo di épater le bourgeois, di stupire le masse, di lasciarle sbalordite e a bocca aperta per farle sentire sempre più piccole e disunite.
Nella sua intervista (La Stampa del 5 luglio), Renzo Piano parla, con
fastidiosa sicurezza, di creatività, poesia, futuro, ma, poiché il pensiero degli uomini singoli e della loro vita reale non lo sfiora nemmeno lontanamente, le sue parole alate sono solo fumo, retorica, latinorum: una manna per i ceti medi riflessivi, avidi di astruserie poetizzanti.
Nella Shard Tower, dice Renzo Piano, c'è anche "una galleria panoramica che consente di inseguire l'orizzonte a 360 gradi per sessanta chilometri. E anche una meditation room, all'ottantesimo piano. La stanza più alta d'Europa".
Ogni nuova costruzione deve superare qualche primato. Ma questi trionfi sembrano vanterie puerili di cose inutili. Senza contatto con la realtà, le archistar non sanno più che cosa inventare.
Nella Shard Tower, dice Renzo Piano, c'è anche "una galleria panoramica che consente di inseguire l'orizzonte a 360 gradi per sessanta chilometri. E anche una meditation room, all'ottantesimo piano. La stanza più alta d'Europa".
Ogni nuova costruzione deve superare qualche primato. Ma questi trionfi sembrano vanterie puerili di cose inutili. Senza contatto con la realtà, le archistar non sanno più che cosa inventare.
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