martedì 6 marzo 2012

Il Piemonte nel Risorgimento italiano. 1^ puntata. P. Keyes O'Clery: La Rivoluzione italiana. - Emilio Gentile: Italiani senza padri.


Il professor Emilio Gentile, ‘storico di fama internazionale’ (copio dall’ultima pagina di copertina del suo libro), ha pubblicato l’anno scorso da Laterza “Italiani senza padri: intervista sul Risorgimento”, che è un caso forse più unico che raro di libro-intervista (l'intervistatrice è Simonetta Fiori, di Repubblica) dove le domande sono più interessanti delle risposte. Infatti le domande pongono problemi concreti, mentre le risposte sono confuse e piene di superflua dottrina.
Il Risorgimento è stato per il professore un periodo eroico che aveva “tre obiettivi fondamentali: liberare l’italiano dalla servitù del dispotismo e del conformismo; conferirgli un senso della dignità come cittadino dello Stato nazionale; affermare il merito e le capacità dell’individuo contro il privilegio di nascita e di casta. Un’aspirazione che si declinava con il sentimento del bene collettivo”... ecc. (p. 5).
A parte questa prosa generica, anzi vacua, che si ritrova in tutte le pagine del libro e, direi, in tutti gli storici (intendo quei tre o quattro che ho letto) che considerano il Risorgimento come una epopea, il ragionamento del professor Gentile contiene una contraddizione, di cui solo uno studioso soddisfatto di sé e convinto di avere la verità  in tasca può non rendersi conto.
Ma prima di accennarvi, citerò ancora il pensiero conclusivo del Gentile: “siamo riusciti ad avere una convergenza fra storici di varia provenienza su alcuni punti fondamentali. Il primo è che il Risorgimento fu un fatto positivo e che lo Stato unitario, pur con tutti i suoi limiti, pose le condizioni per uno sviluppo economico e sociale del paese. Il secondo è che ad aprire la porta al fascismo non furono le matrici autoritarie già insite nello Stato unitario ma fu il trauma della Grande Guerra” (p. 141).
Quest’ultimo punto mi pare particolarmente debole e incompleto. Sarebbe come se di un malato di cancro si dicesse che è morto per l’ultimo raffreddore.
Ma accettiamo per buoni questi due punti e torniamo all’inizio del libro. Già nella sua prima risposta, a p. 3, il professor Gentile afferma: “Il bilancio conclusivo è che il nostro è un Risorgimento senza eredi, nel senso che nel paese è difficile rintracciare idee, comportamenti e mentalità riconducibili al movimento nazionale da cui trasse origine l’Italia unita”. E a p. 9 Gentile lamenta che gli italiani di oggi non abbiano alcun senso civico, “ossia la dedizione al bene pubblico, il senso dello Stato, il rispetto della legge che appartengono all’eredità del Risorgimento”.
C'è da chiedersi, però, in che cosa consista e dove stia questa eredità del Risorgimento. Nei libri di memorie e nelle sale dei musei, oppure nel lungo operato delle prefetture, dei ministeri e dei governi, nel Sud spopolato di venti milioni di emigranti, in una tradizione politica, amministrativa e scolastica di basso livello, intrisa di retorica, autoritaria, inefficiente e quasi sempre corrotta? Di che cosa è fatta questa eredità: di idee, di romanzi, di poesia e letteratura, di imprese nobili e disperate, oppure della astuta azione diplomatica di Cavour, dei proclami razzisti e disumani degli incompetenti generali piemontesi, delle imprese poco brillanti ma sanguinarie dei loro eserciti?
Evidentemente ci sono molte eredità del Risorgimento, come ci sono molte eredità, per esempio, del comunismo. Sia dell’uno che dell’altro, le eredità più nobili e degne di sopravvivere sono formate dalle idee, dalle aspirazioni e dai sacrifici delle correnti sconfitte: sono eredità, quindi, di cui è rimasto solo il ricordo e non sono più attive. Nel caso italiano, l’unica eredità realmente efficace e operante del Risorgimento è quella lasciata dalla fazione piemontese, che ha vinto con metodi poco eroici, poco leali, poco unitari, poco liberali, poco fraterni, poco legali, ecc. ecc.
Quando il professor Gentile afferma che il nostro Risorgimento non ha eredi, dice qualcosa di incongruo, di inspiegabile e di antistorico. A me sembra che la questione vada posta in questi termini: o quelle virtù che non hanno lasciato alcuna eredità e di cui non si vedono effetti positivi sul popolo italiano, non sono mai esistite, oppure la vera eredità del Risorgimento (intendo quella che ha avuto una reale efficacia) è negativa e tuttora presente e (non certo da sola) ha ridotto l’Italia in questa condizione preoccupante e pietosa. 
Ma, a sentir formulare questa ipotesi, il professor Gentile si arrabbia come per una offesa personale e i suoi argomenti diventano scadenti. “Sì, c’è la tendenza ad attribuire al Risorgimento la causa di tutti i mali dei successivi centocinquanta anni dell’Italia unita: dalla questione meridionale al fascismo, dall’antisemitismo a Tangentopoli, fino forse all’alluvione nel Veneto e al disfacimento della Scuola dei gladiatori a Pompei” (p. 155).
Perbacco, che sarcasmo!
Le risposte del professor Gentile sono confuse. Abbiamo appena visto che egli si fa beffe di chi attribuisce all’unificazione la causa, fra tante disgrazie, anche della questione meridionale, ma a pag. 86 sembra sostenere il contrario e scrive che il Risorgimento ha lasciato in eredità gravissime questioni, come la questione meridionale, ecc. ecc. In questo libretto c’è di tutto, condito con mille sfumature e allusioni, e il professore potrebbe affermare a buon diritto: sì, a pag. x ho detto questo, ma a pag. z l’ho corretto e integrato con quest’altro concetto.
Ma non è utile analizzare troppo sottilmente questo libretto, che io ho utilizzato solo come pretesto per introdurre il libro di Patrick Keyes O’Clery.
(continua al post successivo)

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