lunedì 30 gennaio 2012
Carlo Grabher, "Anton Cechov". Roma, Istituto per l'Europa orientale - Torino, Slavia, 1929. 2^ parte.
Il critico Lev Šestov ha giudicato la visione di Cechov alla stregua di un vero e proprio sistema filosofico, preoccupandosi di cogliere le sue apparenti contraddizioni, piuttosto che di studiare la cosa più importante, e cioè se quella visione sia riuscita a vivere nell’opera d’arte (p. 40).
Le contraddizioni del pensiero di Cechov sono spesso l’intima logica, l’intima molla del dramma prospettato in un’opera d’arte (p. 59).
Secondo lo Šestov, dall’opera di Cechov verrebbero fuori delle figure ‘prive di vita’ simili a ‘ombre di trapassati costrette ad aggirarsi in un mondo di morti e di putridume’. Lo Šestov evidentemente crede che per essere un personaggio vivo occorra agire, avere successo, essere soddisfatto della vita. Egli non sente, perciò, quale profondo fermento di vita interiore e quale energia insonne e feconda siano anche in quella vana ricerca, in quella oscura sofferenza cechoviana; non comprende che il ‘nulla’ cechoviano, che egli considera come uno ‘zero’, è appunto il fermento dei veri eroi cechoviani, che vivono spiritualmente appunto per questa loro sofferta pessimistica negazione, e che, con la loro sofferenza, riscattano luminosamente il loro preteso cinismo, il loro preteso mondo di materia e di putridume.
Lo Šestov non si accorge che, accanto agli uomini meccanici di cui Cechov si serve per rappresentare il dramma di chi vive senza ideali, c’è tutta una schiera di umili e doloranti creature. I veri morti del suo grigio mondo sono i primi, gli uomini schiavi della vita pratica, sono i vari Lopachin della vita, privi di ogni ansia ideale, distruttori di meravigliosi giardini (p. 60).
Cechov - è vero - non sa conciliare nelle sue opere la ‘fede’ con la ‘vita’, un ‘ideale’ con ‘l’azione’, ma nell’aver sentito la bontà del travaglio interiore dei suoi personaggi che cercano vanamente, c’è già una luce ideale che riscatta il suo tragico mondo senza certezze.
Questo amore per gli esseri materialmente inattivi si è sviluppato in Cechov sotto l’influenza del tolstoismo, che vedeva nella vita pratica qualcosa che distoglie gli uomini dalla vera vita: quella dello spirito.
Cechov, con il suo amore per gli esseri inetti alla vita pratica, ma spiritualmente più ricchi, ha voluto colpire proprio quello spirito grettamente utilitario, quel senso materialistico che gli appariva non solo come un male del suo tempo, ma anche come il tarlo segreto di tutta l’umanità (p. 61).
I falliti cechoviani hanno un loro eroismo umile e nascosto: esso consiste, più che nella lotta viva per la conquista di un ideale, nella oscura sofferenza di non poterlo raggiungere: sofferenza che è la loro ultima, ma viva forza spirituale: l’unica forza che non pieghi vinta. Il valore spirituale di questa sofferenza è una efficace e dolorosa resistenza al giogo della vita materiale (pp. 62-63).
L’amore, ecco la grande luce che, accanto alla sofferenza, e dalla sofferenza stessa, si sprigiona dal grigio mondo di Cechov. I suoi personaggi, infatti, questi sperduti della vita, si ritrovano in quel senso di disperata fraternità che, in mancanza della vera fede, stringe uomini a uomini, solitudine a solitudine; e quando non possono serrarsi gli uni agli altri (come le tre sorelle) o trovare l’eco di un’altra anima dolorante (come lo zio Vanja), ecco l’autore stesso entrare nella loro vita e con un tocco appena percettibile avvolgerli di quella luce buona d’affetto e di segreta compassione che trasforma i dolori e persino i difetti, anche se involontariamente ridicoli o grotteschi (per es. Pìšcik, nel Giardino dei ciliegi). Così, accanto agli oscuri personaggi che soffrono con dignità (per es. il vetturino Iona Potapov, nel racconto ‘Angoscia’), accanto a tutti gli illusi e i vinti dell’ideale, accanto a tutti i perseguitati dalla sorte, Cechov ama di un infinito amore gli esseri semplici e ignari e specialmente i bambini (p. 64).
Di fronte alle sofferenze della vita, Cechov non impreca, non maledice, ma si raccoglie dentro di sé in un amore teneramente angosciato. Il silenzio e il pudore che circondano questo amore sono il risultato di una virile e sofferta concentrazione, che rende pacate le parole e ferma le lacrime sul ciglio.
Questa ‘raccolta passionalità’ è la forza animatrice di un mondo grigio e freddo, i cui eroi non sanno gridare né rendersi interessanti, paghi di presentarsi nella loro più povera e semplice umanità. Le vicende così comuni dei personaggi, la ‘semplicità’ delle loro emozioni, la mancanza di descrizioni colorite, l’assenza di intrecci complicati, tutto questo potrebbe far sembrare povera l’arte di Cechov (p. 66).
Ma non è così. Le sue descrizioni, anche di bellezze naturali non sono mai pezzi di bravura che stanno a sé e di cui si potrebbe fare a meno, ma sostanza della vicenda, dell’atmosfera, di cui sono diretta emanazione. Cechov non si abbandona mai a estetiche divagazioni (p. 67).
La sua semplicità è così grande - ha scritto Merežkovskij - che talvolta se ne rimane spaventati. Un passo ancora e sembra che sarà la fine dell’arte, la fine della vita stessa: la semplicità diventerà il vuoto, il niente. E’ così semplice che sembra non ci sia niente; e bisogna guardare attentamente per vedere in questo ‘quasi niente’, tutto.
Questa semplicità è tutto, perché è il risultato di una lunga concentrazione interiore, di una lunga passione e sofferenza che si trasfondono in tutte le piccole cose: in una pausa, in un gesto, un sorriso o una parola (p. 68).
Il laconismo di Cechov non è una qualità esteriore, stilistica, ma è concentrazione di visione, a cui corrispondono naturalmente un linguaggio e uno stile, che possono sembrare poveri solo a chi non sente la risonanza nuova e potente che acquistano nell’anima le parole di tutti i giorni, arricchite di significati e risonanze da quel ‘sublime pudore della sofferenza’, che il poeta Tjùtcev scopriva nell’anima russa e che in Cechov trova una delle sue più belle espressioni. Tutto in lui si raccoglie in umiltà di sentimento e di parole (p. 69).
(continua al post successivo)
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