venerdì 16 maggio 2025

Vincenzo Cuoco (1770-1823). Saggio storico sulla rivoluzione napoletana del 1799


Le acute osservazioni di Vincenzo Cuoco sul fallimento della rivoluzione napoletana del 1799, ispirata e sorretta dai francesi contro la volontà popolare, hanno un valore così universale e, se possibile, eterno, che dovrebbero essere esposte nelle sedi dei governi e imparate a memoria da tutti i professionisti della politica.

“…Le idee della rivoluzione di Napoli avrebbero potuto essere popolari ove si avesse voluto trarle dal fondo istesso della nazione. Tratte da una costituzione straniera, erano lontanissime dalla nostra; fondate sopra massime troppo astratte, erano lontanissime da’ sensi; e quel che è più, si aggiungevano ad esse, come leggi, tutti gli usi, tutti i capricci e talora tutti i difetti di un altro popolo, lontanissimi dai nostri difetti, dai nostri capricci, dagli usi nostri… La nostra rivoluzione essendo una rivoluzione passiva, l’unico mezzo di condurla a buon fine era quello di guadagnare l’opinione del popolo. Ma le vedute dei patrioti e quelle del popolo non erano le stesse: essi aveano diverse idee, diversi costumi e finanche due lingue diverse… Siccome la parte colta si era formata sopra modelli stranieri, così la sua coltura era diversa da quella di cui abbisognava la nazione intera, e che potea sperarsi solamente dallo sviluppo delle nostre facoltà… Non può mai esser libero quel popolo, in cui la parte che per la superiorità della sua ragione è destinata dalla natura a governarlo, sia con l’autorità, sia con gli esempi, ha venduta la sua opinione ad una nazione straniera…”.

Purtroppo questi ammonimenti, basati su concetti così chiari ed elementari,  sono rimasti parole al vento. Per metterli in pratica bisognerebbe avere coraggio, modestia e generoso disinteresse personale. Qualità, queste, che molto di rado si sono viste unite insieme sia fra gli intellettuali che fra i politici, e che oggi sembrano quasi scomparse.



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