mercoledì 19 febbraio 2025

Pier Paolo Pasolini. Descrizioni di descrizioni. Garzanti, 1996

Le mie letture di Pasolini sono avvenute in un arco di tempo molto lungo e non sono in grado di dare un giudizio  complessivo. Lo ascoltai per la prima volta dal vivo nei primi anni Sessanta, a Roma, alla Casa dello studente di via Cesare de Lollis. C’era un grande salone affollatissimo e Pasolini arrivò trafelato e in ritardo perché era stato attaccato per strada da un gruppo di teppisti fascisti. Lo ascoltai ancora alla Festa nazionale dell’Unità, alle Cascine di Firenze, un paio di mesi prima della sua morte tragica e precoce. Ma il mio incontro vero con lui avvenne con la lettura tardiva degli “Scritti corsari” e di “Lettere luterane”. Nei primissimi anni Sessanta avevo seguito con una certa continuità la rubrica  che lui teneva su ‘Vie nuove’, ma allora ero molto giovane e aderivo troppo al tempo presente per comprendere il valore di quello slancio e di quella protesta. Per tutti quegli anni considerai Pasolini solo un intellettuale interessante e ‘scandaloso’, capace di sconcertare, ma quei due libri, letti dopo la sua morte, mi fecero capire che era un maestro. Qualche anno dopo la sua scomparsa, il giornale La Repubblica ospitò un dibattito su di lui. Il direttore Eugenio Scalfari, con ottuso orgoglio  di progressista, deplorò il pessimismo di Pasolini e il fatto che non apprezzasse ‘le magnifiche sorti e progressive’ della società moderna. In quel dibattito, solo Pietro Ingrao, con un lampo di autentica intelligenza, affermò che gli acuti occhi dello scrittore avevano saputo vedere lontano. ‘Scritti corsari’ e ‘Lettere luterane’ ebbero il valore di confermare e chiarire i miei pensieri e  di rivelarmi la qualità del Pasolini intellettuale. Non so se dico una cosa già nota e chiarita: mi convinsi che i pensieri, le idee, i giudizi di Pasolini nascevano dalla sua intelligenza ma avevano radici nel suo corpo; che egli era un lettore e un pensatore che sentiva prima di tutto con il corpo. Probabilmente questo concetto avrebbe bisogno di ben altro approfondimento, ma intanto io so che sentire con il corpo non è un modo più basso di sentire, ma un modo più alto, più raffinato, più sincero e più onesto, in linea con la frase che Rousseau scrisse all’inizio delle sue ‘Confessioni’: “Ascolto il mio cuore e conosco gli uomini” (Je sens mon coeur et je connais les hommes). Sentire con il corpo comporta che i pensieri hanno una forza di convinzione e una cassa di risonanza che li rendono più veri, più profondi, più limpidi. Quando un uomo sente con il corpo, non  può cambiare facilmente bandiera secondo le convenienze, ma vive le sue idee con una coerenza che è necessaria quanto l’aria che respira; coerenza che può essere spezzata solo da un trauma altrettanto autentico. “Descrizioni di descrizioni” raccoglie gli scritti pubblicati nel corso di due anni sul settimanale ‘Tempo’. Non sono vere e proprie recensioni, ma libere divagazioni stilistiche, storiche e morali che partono quasi sempre da uno spunto autobiografico. “Il lettore si sarà accorto come queste mie pagine non siano di critica; ma siano semplicemente delle chiacchiere più o meno brillanti su un argomento su cui degli italiani, che abbiano fatto almeno il liceo, usano parlare”.  Per questo motivo non è facilissimo comprendere a fondo tutte le considerazioni stilistiche e psicoanalitiche che fa Pasolini; per questo bisognerebbe conoscere ogni libro esaminato, e questa conoscenza mi manca. Tuttavia le divagazioni di Pasolini sono molto vivaci e interessanti e confermano che egli è un lettore ‘corporale’, sempre schietto e sincero. Su una raccolta di poesie di Carducci. “Il manierismo carducciano mascherato di vitalità e salute (l’operazione più in mala fede di tutta la letteratura italiana)... mostra invece tutta la sua rozzezza e la sua mancanza d’intelligenza... Penso a che disgrazia è stata per gli adolescenti della mia età aver dovuto cominciare con l’interessarsi a un poeta così... Quante ore buttate via, quanta energia malamente sprecata, quanta aberrazione, quanta stupidità”. Analizzando le risposte di alcuni parlamentari ad un questionario sui personaggi dei Promessi Sposi, Pasolini scrive: “La prima preoccupazione di un parlamentare è la popolarità. Tutto ciò che potrebbe essere impopolare viene da lui rigidamente escluso dal proprio campo logico e verbale. Non lo fa neanche apposta, ormai: è un istinto. Bisogna scegliere Fra Cristoforo o l’Innominato (o addirittura, come fa Andreotti, quell’untuosa figura da santino che è il Cardinal Borromeo)”. Parlando dell’Eredità Ferramonti, Pasolini scrive che l’autore del romanzo ha avuto l’unico scopo di “dimostrare la qualità abbietta della piccola borghesia italiana, vista senza alcuna giustificazione, senza alcuna consolazione, senza alcun amore”. E questo giudizio sul romanzo esprime anche la ripugnanza di Pasolini, che lui manifesta, direi, continuamente. Sul Risorgimento dà un giudizio lapidario: nella primavera del 1861, Cavour  “cercava di gettare il discredito (corruzione, peculato, rapina) sulla Sinistra garibaldina, per liquidarla, e far rientrare tutto, al solito, nell’ordine (trasformare, in pratica, l’annessione del Sud in una colonizzazione, com’è poi avvenuto)”. Tutto vero, salvo il fatto che il discredito della Sinistra garibaldina era più che meritato, e che il governo piemontese lo ha strumentalizzato, dopo aver favorito il disordine, le ruberie, le violenze. In una pagina particolarmente profetica, Pasolini critica la novità del programma culturale dell’editore Rusconi,  che a me sembra in embrione l’odierna cultura woke, la cultura del politicamente corretto. “La cultura che Rusconi propone attraverso la sua grandiosa operazione non è conservatrice, se non in falsetto; essa finge di esserlo. Essa non può nascondere il suo totale cinismo, il suo aristocratico disprezzo per i sentimenti di un arcaico perbenismo e per un passato meschinamente nazionale (essa è internazionale, ormai, sia per formazione che per finalità)”. Questa nuova cultura rusconiana è la cultura dell’edonismo della società di massa, la quale non rispetta niente, nessun valore, e fa “piazza pulita dell’intero universo dell’ordine difeso dal fascismo”. Quella nuova cultura, cinica e senza vere ideologie, si presentava sotto spoglie tradizionali di destra e perciò riduceva la lotta antifascista a una lotta contro fantasmi: “ci costringe a inscenare una lotta antifascista così miserabilmente vecchia da sembrare un malinconico balletto di burattini... La cultura organizzata e imposta dall’operazione Rusconi è tutta lanciata verso il futuro in un totale agnosticismo rispetto ad ogni valore e in un totale cinismo reale verso l’intera storia passata”. Dopo oltre mezzo secolo,  quella cultura edonistica di massa si presenta oggi (miracolo dei cambiamenti storici) sotto il segno del progresso e della libertà, e domina quasi incontrastata. Voler combattere oggi una lotta antifascista di tipo tradizionale, quando siamo oppressi da una cultura edonistica di massa di dimensioni planetarie, è  una impresa futile, anzi è un diversivo (Queste ultime sono opinioni mie personali che a me sembrano avvalorate dalle antiche osservazioni di Pasolini). Siamo poco abituati ad una schiettezza così franca come quella di questi articoli. Pasolini scrive sempre quello che pensa, senza riguardi. Su Fenoglio è severo. “Il dovere di occuparmi di quei paesi, di quelle cittadine e di quelle campagne, cercando di decifrare quella prosa così grigia ma insieme così oracolare, che le esprimeva, mi è parsa subito una fatica quasi insormontabile”. Del romanzo più noto di García Marquez fa una descrizione che è forse la pagina più brillante del libro, e la conclude prendendosela con la “palude del mondo che decreta i successi letterari”. In questi articoli non mancano le rievocazioni di teneri momenti autobiografici, come la piccolo aula bolognese in cui Roberto Longhi faceva lezione prima della guerra, e che nel ricordo appare a Pasolini come “un’isola deserta, nel cuore di una notte senza più luce. E anche Longhi che veniva, e parlava su quella cattedra, e poi se ne andava, ha l’irrealtà di un’apparizione. Non potevo credere che, prima e dopo aver parlato in quell’aula, egli avesse una vita privata”. Il libro di Pasolini è una miniera ricchissima, forse inesauribile. Lui ha scritto: “la bella critica va letta sempre come un romanzo”. Ma nei suoi articoli l’elemento autobiografico è così scoperto ed è così presente un continuo filo polemico contro la scrittura inautentica, che ogni suo commento ha un taglio sconcertante, e il lettore deve ogni volta adattare la propria attenzione, come se dovesse salire e scendere una lunga serie di scale mobili tutte diverse.

 

1 commento:

francesca ha detto...

Molto interessante e molto vera la parte del sentire con il corpo!