Dmìtri Nikolàievic’ Rudin è un uomo di trentacinque anni, di pochi mezzi
ma di grande cultura, alto, affascinante ed eloquente. Ospite per una sera
nella casa di campagna della ricca proprietaria Daria Michàilovna Lasùnskaia,
la sua figura, la sua dialettica e il tono appassionato delle sue parole
conquistano la padrona di casa, che in campagna si annoia e aspira a
conversazioni di qualità superiore, e lasciano sbalorditi gli altri ospiti.
“Dalla prontezza con cui tutti tacevano appena Rudin apriva bocca, si poteva
giudicare della forza dell’impressione da lui prodotta”. Invitato e protetto
dalla Lasùnskaia, Rudin rimane suo ospite per alcuni mesi. “Egli parlava in una
maniera magistrale, trascinando […] Tutti i pensieri di Rudin sembravano
rivolti all’avvenire, e questo conferiva ad essi qualcosa di impetuoso e di
giovane […] Rudin parlava di ciò che conferiva un significato eterno alla
temporanea vita dell’uomo”. Natàlja, figlia diciottenne
della proprietaria, che conosce a memoria tutto Puskin, è molto impressionata
da questi discorsi. Rudin, parlando con lei, dice: “Sì, io devo agire. Non devo
nascondere le mie capacità, se le ho; non devo sprecare le mie forze nelle sole
chiacchiere, nelle vuote, inutili chiacchiere”. Le sue parole, scrive Turgenev,
scorrevano come un fiume. Parlava meravigliosamente, con ardore, con
convinzione, del disonore di essere pusillanimi e pigri, della necessità di
agire. Una ragazza sensibile e riflessiva come Natàlja non poteva non innamorarsi di lui, e anche
Rudin, esagerando enfaticamente le proprie emozioni, le dice di amarla. Ma la
mamma aspira, per la figlia, a un
partito ricco ed è pronta a dare il benservito all’ospite affascinante
ma spiantato. L’appassionata Natàlja, ferita dalla grettezza materna, è disposta a rompere con la famiglia e a partire con Rudin, ma lui, per mancanza di coraggio e per tiepidezza di
sentimento, respinge lo slancio della ragazza e lascia la casa per riprendere
il suo vagabondaggio fra protettori e
amici d’occasione. Questo è il punto culminante di una storia molto semplice
che, dopo aver presentato l’intellettuale progressista russo della metà del XIX
secolo, pieno di idealità e di progetti di rinnovamento, ne smaschera
l’inconsistenza e l’inettitudine. Il romanzo è acuto e si legge con grande piacere per la sua arguzia e delicatezza; però lo sviluppo psicologico dei
personaggi principali non è del tutto naturale. Per esempio, la determinazione,
la chiarezza di idee e la tempra morale rivelate da Natàlja nell’ultimo
colloquio con l’innamorato sono troppo improvvise e sembrano una
sovrapposizione dell’autore. Anche la coerenza artistica dell’intero racconto
mi sembra incrinata. La partenza di Rudin segna la conclusione del racconto;
gli avvenimenti successivi, narrati nella
breve seconda parte, hanno il sapore di una aggiunta artificiosa e di una
correzione della storia. Nella prima
parte, Michailo Lezniòv, un vicino di casa che frequenta il salotto della
Lasùnskaia, riconosce in Rudin un amico di gioventù. Per tutto il tempo che il
fascinoso intellettuale era stato nelle grazie della ricca signora, Lezniòv (che
certamente guarda le cose con l’occhio di Turgenev) con tranquilla perspicacia ne aveva
rivelato le debolezze e i difetti agli amici più intimi. “Confermo che Rudin
realmente non mi piace […] E’ un uomo straordinariamente intelligente, sebbene
in fondo vuoto […] Un despota nell’anima, pigro, poco competente […] Gli piace
vivere a spese altrui, rappresentare una parte… ma il brutto è che è freddo
come il ghiaccio , […] e lo sa e si finge ardente […] Il male è ch’egli non è
onesto […] Alla sua età è vergognoso divertirsi al suono dei propri discorsi”. Addirittura
Lezniòv afferma che Rudin, a differenza di Tartufo, non sa nemmeno quello che vuole. Passano appena due anni dagli avvenimenti narrati, e Michailo
Lezniòv, parlando con le stesse persone, cambia completamente il suo giudizio
su Rudin: “Non si infierisce su chi è caduto […] Io voglio parlare di ciò che
vi è in lui di buono, di raro. In lui c’è l’entusiasmo, la qualità più preziosa
ai nostri tempi […] Non è un attore, non è un briccone, né uno scroccone, egli
vive a spese altrui come un bambino […] Chi ha il diritto di dire che le sue
parole non abbiano gettato tanta buona semenza nelle giovani anime capaci di
azione più di lui?...”. Passano ancora alcuni anni, e in un albergo di una
lontana città Lezniòv incontra per caso Rudin, invecchiato e stanco. Pranzano
insieme. Rudin ammette i suoi errori e le sue debolezze. Lezniòv è pieno
d’affetto. “Io suscito la tua compassione” dice con voce sorda Rudin. “No, ti
sbagli. Tu m’ispiri rispetto […] In te brucia la fiamma dell’amore della verità
[…] Tu hai fatto ciò che hai potuto, hai lottato finché hai potuto…”. E’ una
scena, questa, abbastanza commovente, che però dissolve la personalità di Rudin
come era stata descritta nella prima parte. Turgenev qui diventa indulgente,
più o meno come quel vecchio padre che, in un racconto di Čechov, scrive al
figlio una lettera piena di solenni rimproveri e poi, alla fine, gli
racconta che la vacca ha partorito un bellissimo vitellino e altri lieti e meno lieti fatterelli di famiglia e di villaggio.
martedì 21 gennaio 2025
Ivan Turgenev (1818-1883). Rudin. Biblioteca universale Rizzoli, 1964
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