lunedì 2 dicembre 2024

ALBERTO MARIO BANTI. IL RISORGIMENTO ITALIANO. LATERZA, 2004



Di fronte a un libro come questo, scritto da uno storico qualificato e corredato da una imponente bibliografia che prende le mosse dalle opere di Benedetto Croce, Giovanni Gentile, Gaetano Salvemini e Gioacchino Volpe, viene spontaneo esclamare con sorpresa e fastidio: “La montagna ha partorito un topolino!”. E non si tratta nemmeno di un bel topolino vivace e simpatico. Il libretto (130 pagine più appendice di documenti) è scritto con lo stile burocratico di un catechismo. L’Autore si concede una spruzzatina di modernità anticonformista, ma omette fatti essenziali e quelli che cita sono descritti secondo i concetti retorici della interpretazione istituzionale del Risorgimento. Non parla delle "rivoluzioni colorate" promosse fuori del Regno di Sardegna da Cavour e dai suoi emissari (magari inviando, come a Firenze, ottanta carabinieri piemontesi travestiti da popolani), definisce "pressione propagandistica" le violenze commesse durante i plebisciti di annessione, chiama "scarsa fermezza" il tradimento dei generali borbonici comprati con denaro e promesse, considera "memorabili" le vittorie di Garibaldi in Sicilia contro nemici evanescenti... Alberto Banti, ora col riduzionismo ora con l'esaltazione, disegna un quadro eroico che non esiste. Anche la sua conclusione è forzata. Cita una lettera di Cavour alla contessa di Circourt della fine del 1860 (quando ormai si può dire che il suo gioco d'azzardo si fosse concluso con successo): "Per parte mia, non ho alcuna fiducia nelle dittature e soprattutto nelle dittature civili. Io credo che con un parlamento si possano fare parecchie cose che sarebbero impossibili per un potere assoluto... Sono figlio della libertà: è ad essa che debbo tutto quel che sono...", ecc. Banti, che considera il parlamento del Piemonte costituzionale una grande scuola di libertà, commenta: "La lezione di Cavour è limpida". Io credo invece che non sia affatto limpida; e conoscendo un poco le decisioni e le istruzioni segrete di Cavour, penso che le affermazioni fatte all'amica contessa siano più che altro una civetteria e sincere solo a metà, perché egli si sentiva perfettamente a suo agio nelle beghe del parlamento, che sapeva di poter manipolare e dominare. Questo atteggiamento si rivela con evidenza anche nella lettera citata: "Un'esperienza di tredici anni m'ha convinto che un ministero onesto ed energico, che non abbia nulla da temere dalle rivelazioni della tribuna e non si lasci intimidire dalla violenza dei partiti, ha tutto da guadagnare dalle lotte parlamentari". Meno limpido di così!

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