domenica 6 marzo 2022

Lev Tolstoj, Infanzia Adolescenza e Giovinezza. Firenze, Vallecchi, 1972.

 

Questi ricordi furono scritti quando Tolstoi non aveva ancora trent'anni, fra il 1855 e il 1857. In un frammento di una cinquantina di pagine scritte in vecchiaia, fra il 1903 e il 1906, e pubblicate qui in appendice col titolo "Ricordi d'infanzia (appunti non corretti)", Tolstoi si mostra scontento di quell'opera giovanile. "Per non ripetermi nella descrizione dell'infanzia, ho riletto quell'opera che porta questo titolo e ho rimpianto di averla scritta; tanto male è scritta, con tono letterario, senza sincerità". Lo scrittore non voleva raccontare la propria vita, ma quella dei suoi compagni d'infanzia, "e perciò ne risultò una confusa mescolanza degli avvenimenti della loro e della mia fanciullezza". I ricordi scritti in vecchiaia sono, in verità, solo un abbozzo, materiale da passare a un amico che si era accinto a scrivere la sua biografia, tuttavia contengono alcuni bellissimi ritratti molto dettagliati. La mamma di Tolstoi morì di parto, quando lui aveva solo un anno e mezzo, e lo scrittore la conobbe solo attraverso le lettere e il racconto di chi l'aveva frequentata. Le lettere hanno un tono sincero, semplice e sobrio, e il figlio ne desume che la mamma fosse spiritualmente superiore al padre. Oltre al russo, lei conosceva quattro lingue (il francese, l'inglese, il tedesco e l'italiano). Nelle lettere della mamma Tolstoi trova una grande qualità: l'indifferenza riguardo al giudizio della gente e la modestia, che arrivava fino al punto di nascondere la propria superiorità intellettuale, culturale e morale, come se se ne vergognasse. Probabilmente grazie alla consapevolezza di questa superiorità, la mamma si asteneva dal giudicare gli altri. Diversamente da lei, Tolstoi, con la sua abituale sincerità, confessa di non aver potuto mai fare a meno, fino agli ultimissimi tempi, di occuparsi di ciò che pensavano gli altri sul suo conto. Un altro grande ritratto è quello della zia Tatjàna Aleksàndrovna. "Era amata teneramente da tutti, né sarebbe stato possibile non amarla, dato il suo carattere saldo, risoluto, energico ed insieme capace di abnegazione". Ancora ragazzina, aveva voluto sperimentare ciò che doveva aver provato Muzio Scevola mettendo la mano sul fuoco, e si procurò una bruciatura sul braccio, che sopportò con stoicismo. Era nata nel 1795, e in gioventù, scrive Tolstoi, "probabilmente sarà anche stata molto attraente, con la sua ruvida, nera, ricciuta, grossissima treccia, gli occhi color nero-agata e l'espressione animata ed energica". Il carattere principale della sua vita era la sua sorprendente bontà verso tutti, senza eccezione. "Mai insegnava a parole come si doveva vivere, mai faceva prediche. Tutta l'attività morale era per lei un lavorio che si compiva nel suo intimo e fuori non ne uscivano che le azioni". Quando morì e la portarono a seppellire attraversando il villaggio, tutti i contadini uscirono dalle loro case e ordinarono la messa funebre per lei. Il tono di questi ricordi scritti in vecchiaia è profondamente accorato, pieno di devozione e di serena consapevolezza della fuga ineluttabile del tempo.

Anche i ricordi scritti da giovane non mancano di devozione e affetto, ma hanno anche un carattere umoristico, di analisi spesso pungente e satirica nei confronti di parenti, domestici, precettori, compagni di giochi e di studi, principi e  principesse. E c'è soprattutto il piacere di descrivere la realtà del mondo. Tolstoi racconta tutto quello che incontra  durante un viaggio in carrozza dalla tenuta di campagna, a Petròvskoe, verso Mosca, e ogni scena gli appare degna di meraviglia. "Ecco, sul sentiero dei pedoni che si snoda presso la strada, appaiono certe figure che camminano lentamente: sono donne pellegrine. Hanno la testa avvolta in un fazzoletto sporco, sulle spalle borse intessute di scorza, i piedi fasciati in pezze sporche e sbrindellate, e calzati di pesanti lapti. Agitando cadenzatamente i bastoni e volgendo a noi appena un'occhiata, esse avanzano l'una dietro l'altra a passo lento e pesante, ed io mi provo a domandarmi: dove e perché vanno?". Bellissima mi pare la descrizione del momento del pranzo. Tolstoi racconta che quando era viva la mamma il pranzo era un rito che riuniva ad un'ora stabilita tutta la famiglia e divideva il giorno in due parti. Dopo la morte della mamma, il pranzo cessò di essere una quotidiana gioiosa festa familiare. Il racconto delle differenze fra il pranzo nella casa di campagna, ai tempi di maman, e quello a Mosca, a casa della severa nonna è bello e divertente. In campagna, alle due del pomeriggio, tutti, ripuliti, cambiati d'abito, stavano seduti in salotto e, allegramente conversando, aspettavano che l'orologio suonasse l'ora convenuta. Entrava Foka, il maggiordomo, col tovagliolo sul braccio, a passi silenziosi, con l'aria dignitosa e un poco austera. "Il pranzo è pronto", annunziava con voce alta e strascicata, e tutti con volti ilari e contenti, i grandi davanti, i piccoli dietro, frusciando con le gonne inamidate e facendo scricchiolare gli stivali e le scarpe, andavano in sala da pranzo e, parlottando a mezza voce, occupavano i loro posti. A Mosca, invece, in casa della nonna, il rituale del pranzo era severo e silenzioso e il maggiordomo distribuiva le scodelle di brodo a seconda dei titoli, dell'età e della considerazione in cui la nonna teneva i suoi commensali. Un altro pregio fondamentale di questi ricordi è l'analisi introspettiva che il narratore continuamente fa di se stesso. Qui la sua sincerità tocca abissi quasi dostoevskijani e coglie stati d'animo nei quali credo che molti possano riconoscere lo sviluppo delle proprie emozioni, l'archivio dei pensieri inconfessati, l'anelito all'amore e l'attesa segreta e trepidante di incontrare ad ogni momento la propria donna ideale.

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