lunedì 17 gennaio 2022

Michele Cervantes di Saavedra, Don Chisciotte della Mancia. Edizioni A. Barion, 1933. 2 volumi. (Prima parte)


 

Avevo letto questo romanzo una trentina di anni fa nella traduzione di Vittorio Bodini. Di quella lettura ricordo solo le sublimi raccomandazioni di don Chisciotte a Sancio, che si accingeva a governare l'isola di Baratteria (che non era affatto un'isola). "Ricordati, Sancio, che vale più un giudice misericordioso che un giudice severo"; e ricordo il giudizio di Bodini sulla follia di don Chisciotte. Il critico riteneva che fosse vera follia e che, se anche avesse avuto un significato metaforico, sarebbe stato un significato negativo. Bodini non mi aveva convinto, e solo perché sono uno studente discontinuo, ho mantenuto questo dubbio per un tempo così lungo. Solo oggi, con questa seconda lettura, sento di averlo risolto, e oso affermare, contro il parere di illustri critici, che don Chisciotte è un personaggio eroico e positivo e che la sua saggezza nasce dalla sua follia. Questa tesi risulta chiara ed evidente dal testo del romanzo, e cercherò di provarlo. Ma intanto mi ha confortato l'opinione di Arthur Schopenhauer, che nella sua opera 'Il mondo come volontà e rappresentazione' descrive  don Chisciotte come "un uomo che non è, come gli altri, preoccupato esclusivamente della sua felicità personale, ma persegue un fine oggettivo, ideale, che domina tutto il suo pensiero e la sua volontà, e che fa davvero in questo nostro mondo una ben trista figura". Un giudizio, questo, tanto umano, libero e di valore universale, quanto è angustamente ideologico quello di György Lukács, che nei suoi 'Saggi sul realismo' scrive che "in Cervantes la società borghese, in via di formazione, distrugge le ultime illusioni feudali". Ma Cervantes sarebbe dovuto essere matto come il suo personaggio per scambiare le visioni del nostro cavaliere errante per residui del feudalesimo, e combatterle in nome della borghesia trionfante. I consigli che don Chisciotte dà a Sancio su come governare il paese che gli viene affidato disegnano una costituzione politica che è buona, umana e realistica, e che non ha niente di feudale. "Non fare tante riforme e tanti decreti; e se li fai, procura che sieno giusti, e soprattutto che sieno osservati ed eseguiti... Trovino facilmente compassione presso di te le lagrime del povero; ma la tua giustizia sia imparziale tra queste e le ragioni del ricco... Quando l'equità può e deve agire, non fare che piombi sul reo tutto il rigore della legge: la fama del giudice rigoroso non è mai migliore di quella del compassionevole... Quando ti occorra di dover giudicare le liti di qualche tuo nemico, allontana la memoria delle ingiurie, e pensa unicamente alla verità del fatto...". E prima di questa lunga lezione, don Chisciotte aveva detto che non esiste una vendetta giusta e che il cavaliere errante è un assertore di verità anche a prezzo della vita. E parlando con Sancio, lo aveva ammonito: "Tu sei un cattivo cristiano, Sancio mio, perché non dimentichi mai nessuna ingiuria che ti sia stata fatta. I cuori nobili e generosi non si fermano su cose di sì poco momento". Queste non sono illusioni feudali, ma principi eternamente umani che si oppongono a qualsiasi società fondata sull'ingiustizia. Voler vedere la fine delle illusioni feudali nel ridicolo della battaglia contro i mulini a vento e nella comicità di tutte le altre imprese compiute da don Chisciotte significa scambiare l'apparenza con la sostanza, l'accidente con l'essenza o, per dirla col popolo, "fare come gli antichi, che mangiavano le bucce e buttavano i fichi".

(continua al post successivo)

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