L'edizione scolastica di Giuseppe Principato, commentata da Luigi Russo, è così piena di errori di stampa (parole, punteggiatura e omissione di versi), che, se fosse una edizione corrente, il malcapitato lettore potrebbe chiedere all'editore un risarcimento per danni economici e morali. L'unico pregio è il commento di Russo, che abbonda in osservazioni di natura estetica, ma lascia avvolti nel mistero la maggior parte dei versi difficili o oscuri. Salvo poi perdere tempo e spazio per spiegare il significato di parole fin troppo semplici, come per esempio 'faretra' (cosa che mi fa quasi sospettare che il commento sia opera di due persone: il professore per la parte alta e un allievo per la parte bassamente lessicale). Ho potuto perciò portare a termine la lettura della Gerusalemme su un testo corretto e trovare spiegazioni elementari per parole e costruzioni difficili solo consultando anche l'edizione commentata da Mario Sansone (Adriatica, Bari, 1963) e quella della Biblioteca universale Rizzoli a cura di Bruno Maier. La prima è un'ottima edizione scolastico-divulgativa, anche se una ventina di versi sulla bellezza sensuale di Armida sono sorprendentemente censurati. La seconda privilegia l'indicazione delle fonti del Tasso, ma vi ho trovato anche preziose spiegazioni di parole rare o antiche. Quest'ultima edizione della BUR è introdotta da un lungo saggio (140 pagine) di Ezio Raimondi che vuole essere presuntuosamente esaustivo, ed è freddo, accademico, divagante e infarcito, com'è naturale, di infinite e peregrine citazioni. Un esempio scelto a caso: "Nel loro gioco di rimandi e di suggestioni intratestuali le maglie del codice analogico si annodano elaborate e compatte sino a chiudere la metamorfosi di Rinaldo dentro l'emblema polisemico del serpente [...] Nella persona di Rinaldo il serpente interviene solo come una maschera metaforica, come un indizio o un sema secondario di preludio alla tonalità sinistra della nuova isotopia labirintica e delle sue fascinazioni vegetali". Detestabile brano di critica letteraria che nasconde dietro un linguaggio esoterico la mancanza di idee originali.
La Gerusalemme liberata è scritta in una lingua più difficile e più povera, meno cantabile, di quella dell'Orlando furioso. La storia è lineare e compatta, non frantumata, come nel Furioso, in cento episodi più o meno equivalenti per lunghezza e importanza. Però la riconquista cristiana del Santo Sepolcro, anche se costituisce l'asse narrativo del poema, è ispirata da un sentimento religioso molto convenzionale e non è il centro poetico dell'opera. La poesia è nei personaggi innamorati e negli episodi di cui sono protagonisti. La Gerusalemme liberata è soprattutto un romanzo di amori malinconici e contrastati.
A scuola, ai miei tempi, Ariosto e Tasso sembravano due grandi statue di marmo. Mi sono deciso solo ora a leggere per intero i loro poemi, con la speranza di trovare in essi sentimenti profondi, tensione morale, grandezza d'animo (come nell'Alfieri, nel Foscolo, nel Leopardi), da cui attingere forza e idee per resistere contro l'inarrivabile stupidità e bruttezza della società contemporanea, crudele quasi come le peggiori epoche del passato. Ma nell'Ariosto e nel Tasso non c'è niente di tutto questo. Ci sono solo una immaginazione sbrigliata e leggera, e un patetico idillismo.
Nessun commento:
Posta un commento