lunedì 25 novembre 2019

Giacomo Leopardi guardava a se stesso in modo accorato, lucido, coraggioso, spavaldo.


"L'uomo d'immaginazione di sentimento e di entusiasmo, privo della bellezza del corpo, è verso la natura appresso a poco quello ch'è verso l'amata un amante ardentissimo e sincerissimo, non corrisposto nell'amore.
Egli si slancia fervidamente verso la natura, ne sente profondissimamente tutta la forza, tutto l'incanto, tutte le attrattive, tutta la bellezza, l'ama con ogni trasporto, ma quasi che egli non fosse punto corrisposto, sente ch'egli non è partecipe di questo bello che ama ed ammira, si vede fuori della sfera della bellezza, come l'amante escluso dal cuore, dalle tenerezze, dalle compagnie dell'amata [...]
Egli sente subito e continuamente che quel bello, quella cosa ch'egli ammira ed ama e sente, non gli appartiene. Egli prova quello stesso dolore che si prova nel considerare o nel vedere l'amata nelle braccia di un altro, o innamorata di un altro, e del tutto incurante di voi. Egli sente quasi che il bello e la natura non è fatta per lui, ma per altri (e questi, cosa molto più acerba a considerare, meno degni di lui, anzi indegnissimi del godimento del bello e della natura...) [...]
Egli in somma si vede e conosce escluso senza speranza, e non partecipe dei favori di quella divinità che non solamente [gli è presente e vicina], ma gli è anzi così presente così vicina, ch'egli la sente come dentro se stesso, e vi s'immedesima, dico la bellezza astratta, e la natura".
            (Zibaldone, 5 Marzo 1821)

Dal libro di Federico De Roberto "Leopardi" (1898), copio questo passo tratto da una lettera:
"... e io sto qui deriso, sputacchiato, preso a calci da tutti, menando l'intera mia vita in una stanza, in maniera che, se vi penso, mi fa raccapricciare. E tuttavia mi avvezzo a ridere e ci riesco. E nessuno trionferà di me, finché non potrà spargermi per la campagna e divertirsi a far volare la mia cenere in aria".
Questa è una immagine degna dell'Inferno di Dante.

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