La prima edizione di questo libro è del
1932, quando l'autore aveva 32 anni.
Pensando alla sua breve vita piena di
intensi affetti e di nobili pensieri,
interrotta, assieme a quella del fratello
Carlo, da una morte precocissima per
mano dei fascisti (una morte non molto
diversa da quella di Pisacane), non
stupisce che il libro sia molto originale,
scritto con stile personale e appassio-
nato, ricco di dottrina, di equilibrio e
di idee. La figura di Pisacane, nono-
stante la sua sconfitta storica, anzi pro-
prio perché l'unità d'Italia si è realizza-
ta in un modo meschino (il giudizio è
mio, ma non è troppo esagerato rispet-
to a quello dell'autore del libro) che è
all'origine di tutte le crisi successive,
aveva per Rosselli, negli anni del
fascismo, un valore politico e morale di
grande attualità. E anch'io penso che
ancora oggi, quasi novant'anni dopo la
pubblicazione del libro, Pisacane abbia
molto da dirci.
"Pisacane ci ammonisce, scrive Rossel-
li, che il riscatto di un popolo dalla ti-
rannia, dalla servitù, dalla cronica fiac-
chezza politica, è anzitutto problema
morale [...] Primo elemento della solu-
zione: indagare e chiarire perché mai
questo popolo si lasciò rapire o rinnegò
indipendenza e libertà [...] Perché così
grande e libera l'Italia, e poi non più
che una inerte colonia di sfruttamento
per le nazioni finitime? Perché così bel-
ligera e poi così imbelle e vigliacca?
Perché tanta decadenza nei mezzi, nelle
volontà, negli ingegni? Perché?".
A proposito di ingegni...
Nella seconda edizione, 1936, Rosselli
risponde a due osservazioni critiche di
Adolfo Omodeo (l'opinione che ho di
questo storico, che Antonio Gramsci
definì "untuoso santificatore del
periodo liberale", l'ho espressa qualche
anno fa in alcuni articoli su questo
blog).
Rosselli aveva parlato a lungo della vi-
ta politica nel Piemonte di metà Otto-
cento. Omodeo coglie una inesattezza,
e Rosselli in una nota risponde così:
"A proposito dell'accenno al 'censore',
mi è stato fatto autorevolmente osser-
vare (Omodeo) che nel Piemonte co-
stituzionale vigeva il sistema del se-
questro e non già quello della censu-
ra preventiva sulla stampa. Io non lo
ignoravo: il mio accenno al censore in-
tendeva riferirsi genericamente a quel
rappresentante del 'fisco' contro il qua-
le così alte e spesso così giustificate si
levavano allora le proteste dei giorna-
listi di estrema sinistra e di estrema de-
stra".
L'altra critica dell'Omodeo è ancora
più ridicola e notarile.
Rosselli aveva scritto: il capitano Da-
neri "poi si recò da Mazzini (nascosto
allora in casa di suo fratello Francesco)".
Nella seconda edizione aggiunse questa
nota: "Fuorviato dalla mia locuzione,
sintatticamente scorretta, l'Omodeo mi
ha rammentato che Mazzini non ebbe
fratelli... Occorre dire che ho inteso al-
ludere a un fratello del Daneri?".
Ecco la nuova Italia!
1932, quando l'autore aveva 32 anni.
Pensando alla sua breve vita piena di
intensi affetti e di nobili pensieri,
interrotta, assieme a quella del fratello
Carlo, da una morte precocissima per
mano dei fascisti (una morte non molto
diversa da quella di Pisacane), non
stupisce che il libro sia molto originale,
scritto con stile personale e appassio-
nato, ricco di dottrina, di equilibrio e
di idee. La figura di Pisacane, nono-
stante la sua sconfitta storica, anzi pro-
prio perché l'unità d'Italia si è realizza-
ta in un modo meschino (il giudizio è
mio, ma non è troppo esagerato rispet-
to a quello dell'autore del libro) che è
all'origine di tutte le crisi successive,
aveva per Rosselli, negli anni del
fascismo, un valore politico e morale di
grande attualità. E anch'io penso che
ancora oggi, quasi novant'anni dopo la
pubblicazione del libro, Pisacane abbia
molto da dirci.
"Pisacane ci ammonisce, scrive Rossel-
li, che il riscatto di un popolo dalla ti-
rannia, dalla servitù, dalla cronica fiac-
chezza politica, è anzitutto problema
morale [...] Primo elemento della solu-
zione: indagare e chiarire perché mai
questo popolo si lasciò rapire o rinnegò
indipendenza e libertà [...] Perché così
grande e libera l'Italia, e poi non più
che una inerte colonia di sfruttamento
per le nazioni finitime? Perché così bel-
ligera e poi così imbelle e vigliacca?
Perché tanta decadenza nei mezzi, nelle
volontà, negli ingegni? Perché?".
A proposito di ingegni...
Nella seconda edizione, 1936, Rosselli
risponde a due osservazioni critiche di
Adolfo Omodeo (l'opinione che ho di
questo storico, che Antonio Gramsci
definì "untuoso santificatore del
periodo liberale", l'ho espressa qualche
anno fa in alcuni articoli su questo
blog).
Rosselli aveva parlato a lungo della vi-
ta politica nel Piemonte di metà Otto-
cento. Omodeo coglie una inesattezza,
e Rosselli in una nota risponde così:
"A proposito dell'accenno al 'censore',
mi è stato fatto autorevolmente osser-
vare (Omodeo) che nel Piemonte co-
stituzionale vigeva il sistema del se-
questro e non già quello della censu-
ra preventiva sulla stampa. Io non lo
ignoravo: il mio accenno al censore in-
tendeva riferirsi genericamente a quel
rappresentante del 'fisco' contro il qua-
le così alte e spesso così giustificate si
levavano allora le proteste dei giorna-
listi di estrema sinistra e di estrema de-
stra".
L'altra critica dell'Omodeo è ancora
più ridicola e notarile.
Rosselli aveva scritto: il capitano Da-
neri "poi si recò da Mazzini (nascosto
allora in casa di suo fratello Francesco)".
Nella seconda edizione aggiunse questa
nota: "Fuorviato dalla mia locuzione,
sintatticamente scorretta, l'Omodeo mi
ha rammentato che Mazzini non ebbe
fratelli... Occorre dire che ho inteso al-
ludere a un fratello del Daneri?".
Ecco la nuova Italia!
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