Lilli Gruber, conduttrice di Otto e mezzo (o di “Ottemmezzo”, come ha l’abitudine
di dire lei correntemente, riservando la sua raffinatezza alle ‘h’ aspirate di ‘Hhhollande’!
- o alla nasalità di ‘MacrON’! -), non si rassegna al governo ‘populista e
xenofobo’ di Salvini e Di Maio e arruola sotto la sua bandiera i vivi e i
morti. Nella puntata di domenica 1 luglio, c’era un signore che parlava di
quanto Giuseppe Verdi odiasse il populismo (che allora, ci ha spiegato
l’esperto, si chiamava demagogia) e di quanto amasse invece il ministro
Quintino Sella.
Poi c’era l’esperta di storia antica Eva Cantarella, che con il suo intervento sul
sentimento di solidarietà e di accoglienza degli antichi Romani, descritti come
un esempio a cui ispirarsi anche oggi, ha
mandato la soaveggiante Lilli Gruber in un brodo di giuggiole.
Questi esperti di storia antica, che tirano fuori dall'antichità, come un prestigiatore dal cappello a cilindro, tutto quello che serve al conformismo attuale, dimostrano di non capire né l'antico né il moderno.
I Romani non davano la cittadinanza a Galli, spagnoli, africani e altri stranieri che venissero a Roma e in Italia in massa e senza invito, ma prima invadevano la Gallia, la Spagna, ecc., e alle popolazioni conquistate davano poi, con calma, la cittadinanza romana. Questa concessione non era ispirata da buon cuore. Diventando cittadini dell’Impero, i non-Romani sottomessi a Roma ne diventavano anche un pilastro. O almeno questa era l'intenzione dei governanti Romani, che però non è detto che siano stati indiscutibilmente saggi. Giacomo Leopardi, sulla scia di Montesquieu, ha scritto che "i primi sintomi della malattia mortale che distrusse la libertà, e quindi la grandezza di Roma, furono contemporanei alla cittadinanza data all'Italia dopo la guerra sociale, e alla gran diffusione delle colonie spedite per la prima volta fuori d'Italia per legge di Gracco o di Druso". E conclude il suo pensiero (Zibaldone, 24 dicembre 1820) con queste parole che sembrano incise nel marmo:
Questi esperti di storia antica, che tirano fuori dall'antichità, come un prestigiatore dal cappello a cilindro, tutto quello che serve al conformismo attuale, dimostrano di non capire né l'antico né il moderno.
I Romani non davano la cittadinanza a Galli, spagnoli, africani e altri stranieri che venissero a Roma e in Italia in massa e senza invito, ma prima invadevano la Gallia, la Spagna, ecc., e alle popolazioni conquistate davano poi, con calma, la cittadinanza romana. Questa concessione non era ispirata da buon cuore. Diventando cittadini dell’Impero, i non-Romani sottomessi a Roma ne diventavano anche un pilastro. O almeno questa era l'intenzione dei governanti Romani, che però non è detto che siano stati indiscutibilmente saggi. Giacomo Leopardi, sulla scia di Montesquieu, ha scritto che "i primi sintomi della malattia mortale che distrusse la libertà, e quindi la grandezza di Roma, furono contemporanei alla cittadinanza data all'Italia dopo la guerra sociale, e alla gran diffusione delle colonie spedite per la prima volta fuori d'Italia per legge di Gracco o di Druso". E conclude il suo pensiero (Zibaldone, 24 dicembre 1820) con queste parole che sembrano incise nel marmo:
"Quando tutto il mondo fu cittadino Romano, Roma non ebbe più cittadini; e quando cittadino Romano fu lo stesso che Cosmopolita, non si amò né Roma né il mondo: l'amor patrio di Roma, divenuto cosmopolita, divenne indifferente, inattivo e nullo: e quando Roma fu lo stesso che il mondo, non fu più patria di nessuno, e i cittadini Romani, avendo per patria il mondo, non ebbero più patria, e lo mostrarono col fatto".
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