venerdì 9 dicembre 2016

Libera nos a malo: la sconfitta di Matteo Renzi al referendum sulla riforma della Costituzione.


Il discorso di mezzanotte, con il quale Renzi ha annunciato le dimissioni da presidente, è stato giudicato un “discorso da statista” (Peter Gomez), un “discorso degno” (Enrico Mentana), un “discorso umano” (Andrea Scanzi). Solo Luca Telese ha detto invece che sembrava tratto da una soap opera. E io aggiungo che, nonostante la solennità del momento, la scena, oltre che dalle parole di Renzi, era resa convenzionale dalla presenza della moglie Agnese,  in piedi a pochi passi  da lui, in atteggiamento dimesso, vestita quasi da casalinga, con l'espressione di Penelope che attende accoratamente il ritorno di Ulisse a casa.
A parte i soliti spunti retorici e il patriottismo di maniera, non mi è parso né serio né dignitoso proclamare, come ha fatto Renzi: “Ho perso, e lo dico a voce alta”.
“A voce alta” non sembra un’espressione appropriata. Un politico può anche essere orgoglioso di una sconfitta, ma non di quella inflitta dal voto di venti milioni di cittadini.
Secondo me Renzi non è emendabile e non può migliorare. Ha evidenti limiti caratteriali. “Basta osservare come cammina”, ha detto Ciriaco De Mita. E Paolo Mieli ha criticato la mancanza di compostezza nel suo ultimo intervento alla direzione del partito, che avrebbe richiesto un atteggiamento serio, all’altezza della difficile situazione sociale del paese.
I suoi limiti culturali e intellettuali, poi, sono ancora più evidenti: basta sentirlo parlare per qualche minuto o leggere una sua paginetta. La sua interpretazione della sconfitta alle elezioni amministrative di primavera è stata puerile: “Non è un voto di protesta ma è un voto di cambiamento”. Sembra proprio che non sappia capire.
Personalmente ho sempre percepito Matteo Renzi come uno straniero, una creazione artificiale delle televisioni senza patria, toscano in superficie, ma del tutto estraneo alla tradizione  del nostro paese, alle usanze e alle semplici virtù che il nostro popolo  aveva e forse ancora ha, almeno in parte.  
Comunque è furbo, ambizioso, spregiudicato e tenace. Tutte qualità, queste, che gli hanno assicurato prima l’ascesa al comune di Firenze, poi alla segreteria del PD, quindi alla presidenza del consiglio. Ma non gli hanno garantito la durata, e non gliela potranno garantire mai.
In fondo, con il carisma che i giornali e le televisioni gli avevano costruito, pur privo di autentiche doti politiche, avrebbe potuto governare a lungo, se si fosse limitato a barcamenarsi.  Invece si è creduto onnipotente e, ispirato solo dalle qualità che lo avevano favorito nell'ascesa, ha voluto riformare tutto (“Eh, ma noi questa Italia la cambiamo!”). Dopo i primi successi, conclusi con la vittoria alle elezioni europee del 2014, ha cominciato una frenetica corsa ad ostacoli inciampando in ogni ostacolo. E adesso finalmente ha trovato l’ostacolo più grosso.

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