mercoledì 16 ottobre 2013

La cultura comunista e le idee del Sessantotto: un piccolo aneddoto da Scandicci.

 
Nell'atrio della Biblioteca Comunale di Scandicci c’è un mobiletto dove i lettori abbandonano i libri di famiglia di cui vogliono disfarsi. I lettori di passaggio vi vanno a curiosare e, se hanno interesse per qualche opera, se la portano a casa senza formalità. Recentemente vi ho trovato due dozzine di libri che potevano formare la bibliotechina del comunista perfetto.
Portavano tutti la firma di una certa Stefania, che accanto al proprio nome e cognome (che tralascio) aveva annotato la data d’acquisto.
Si partiva dal 1966  ("Le avanguardie artistiche del '900", di Mario De Micheli, per decenni critico d’arte del PCI) e dal 1968 ( un libro sul Vietnam) fino ai primi anni Ottanta,  con un libro su Potere Operaio. Nel mezzo, tutte degli anni Settanta, c’erano opere sulla Fiat, sulle carceri, sulle lotte per la casa, sulla sinistra americana, sull’occupazione delle fabbriche negli anni Venti, sull’America latina, sull’antistalinismo di sinistra, ecc. ecc.
Con simpatia e un po’ di pena, ho immaginato  che Stefania fosse, come me, una comunista pentita, più o meno della mia età, arrivata con ritardo a liberarsi di quelle pubblicazioni, quasi tutte estemporanee,  che tre o quattro decenni fa sembrava un dovere morale possedere.
Mi ha impressionato, però, constatare che nessuno di quei libri era stato mai letto. Apparivano ancora immacolati e nemmeno sfogliati. Inoltre, indizio ancora più interessante,  anche un opuscoletto di  Lenin, ‘Sul diritto delle nazioni all’autodecisione’ (Edizioni in lingue estere, Mosca, 1949), probabilmente appartenente al padre di Stefania, risultava mai letto né sfogliato.
Anch’io ho ereditato da mio padre opuscoli di Lenin della stessa serie, che lui comprava per un dovere automatico, un riflesso condizionato, senza nemmeno desiderare di leggerli, e che sono rimasti dimenticati su uno scaffale per sessant'anni.
Mi sembra, questo, un piccolo esempio di come la cultura del Partito comunista, catechistica ed estemporanea, noiosa e senza vita, avesse rinunciato a un’opera di vera educazione nei confronti dei suoi elettori, accontentandosi semplicemente di trasformarli in conformisti indifferenti alla realtà, autorizzati, inoltre, e anzi stimolati, a conservare intatte tutte le loro piccole ambizioni di avanzamento sociale, se ne avevano, pronti per eventuali untuose e ben retribuite pubbliche carriere.
E le grandi idee del Sessantotto, che hanno attraversato il corpo sociale in un modo che era sembrato uno sconvolgente rinnovamento, non sono state nemmeno un'acne giovanile, una malattia infantile, che prelude ad una maturità virile, ma soltanto una esplosione di velleità senili, che lo hanno lasciato più spossato, più disgregato, più amorale, scettico e cinico di prima.

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