sabato 2 marzo 2024

Angela Pellicciari. Risorgimento da riscrivere. Liberali & massoni contro la Chiesa. Edizioni Ares, 2009

La classe politica di governo del Regno di Sardegna, dopo la concessione dello Statuto nel 1848 da parte del re Carlo Alberto, diventò liberale e dette inizio a una polemica molto aspra contro i gesuiti, gli ordini religiosi in generale e contro la Chiesa cattolica. La polemica ebbe varie fasi: dapprima fu diretta contro obiettivi parziali, in un secondo tempo contro obiettivi più generali e infine puntò alla cancellazione dell’intero Stato della Chiesa. Le leggi nate da questo furore anticattolico, che abolirono gli ordini religiosi e ne espropriarono i beni, non furono decisioni episodiche e occasionali, aspetti secondari della politica governativa e di Cavour in particolare. Furono, piuttosto, l’architrave della politica sabauda sia prima che dopo l’unificazione della penisola. Benché il cattolicesimo fosse la religione ufficiale dello Stato, i governi piemontesi, per attuare il loro progetto di conquista degli altri stati italiani, avevano bisogno che il Regno di Sardegna acquistasse la fama di paese laico, illuminato,  progressista, favorevole all'industria e alla moderna agricoltura. Questa fama avrebbe dato al Piemonte una sorta di egemonia culturale e politica sugli altri Stati italiani, attirando la simpatia di tutti i patrioti che aspiravano all’indipendenza, all’unità e, genericamente, alla libertà. Inoltre, obiettivo forse più essenziale, questa politica anticlericale guardava all’estero, soprattutto ai paesi protestanti, che non bisognava scontentare e che anzi bisognava assecondare per averne l’amicizia e, all’occasione, aiuto politico, economico, militare. C’è da dire, infine, che per i politici liberali, quasi tutti iscritti alla massoneria, era naturale scagliarsi contro il tradizionalismo e l’oscurantismo di preti, frati e monache, e mettere al primo posto, nella loro scala dei valori, il lavoro produttivo e la ricchezza materiale, a scapito della riflessione, della meditazione, della disinteressata ricerca artistica e culturale. Il fatto che i progressisti fossero solo l’uno o il due per cento della popolazione, e che il restante 98% fosse legato alle istituzioni che essi volevano distruggere, non aveva alcuna importanza: la minoranza, anche minima, poiché era 'illuminata' decideva per tutti, naturalmente per il loro bene e per il bene della religione cattolica, che senza più ricchezze materiali da amministrare, poteva finalmente riacquistare l’antica purezza spirituale. Il progetto piemontese era di conquistare gli altri stati italiani, e l'unificazione fu, in effetti, una vera opera di conquista. Già nel 1848, nel corso della prima guerra d’indipendenza, i piemontesi “furono la causa del ritirarsi degli eserciti degli altri stati italiani, napoletani e romani [che erano andati in loro aiuto], per aver troppo presto mostrato di volere l’espansione piemontese e non una confederazione italiana; essi non favorirono ma osteggiarono il movimento dei volontari [...] Non volevano ausiliari, pensando di poter vincere gli austriaci con le sole forze regolari piemontesi (e non si capisce come potessero avere una tale presunzione)”. Questi giudizi sono di Antonio Gramsci, citato dall’autrice. Il libro della Pellicciari è molto interessante e, per quello che posso giudicare, originale. In modo non generico né enfatico mostra quanto sia stata pesante l’eredità sabauda sull’Italia dei decenni successivi.

“Il pensiero liberale è fin dall’inizio indirizzato all’espansionismo e il primo frutto è proprio l’unificazione della penisola sotto il Piemonte. L’avventura di Crispi in Africa, il nazionalismo d’inizio secolo, il desiderio di potenza che porta il Paese al dramma della prima guerra mondiale, la politica mussoliniana, sono in perfetta sintonia con le posizioni espresse da Cavour”. 

Paradossalmente, le aspirazioni espansionistiche del Regno di Sardegna erano implicite nella sua dipendenza e nel suo servilismo verso le grandi potenze europee. Rosario Romeo (citato dall'autrice) scrive: "Il Piemonte, spinto dalle sue ambizioni, doveva tenere nel massimo conto i desideri e talora i capricci dei potenti vicini". Romeo, da ammiratore di Cavour, ricorda i "meriti acquistati dal Piemonte presso le corti francese e inglese con anni di leale solidarietà e di coerente politica liberale". Quella 'leale solidarietà' con gli stati occidentali più potenti è ancora oggi, XXI secolo, la massima necessità e aspirazione dei governi e degli uomini politici italiani. Infatti siamo una felice colonia degli Stati Uniti d'America.

I liberali piemontesi, inoltre, già prima dell’unificazione, avevano elaborato una concezione del cittadino che avrà grandi conseguenze sulla storia futura del nostro paese. Nelle loro esternazioni alla Camera dei deputati e sui giornali, essi sostenevano che l’esproprio dei beni temporali avrebbe migliorato e purificato la religione, la quale, affermavano con arroganza, non ha bisogno di mezzi, perché la vita spirituale si svolge tutta nell’intimo della propria coscienza e, secondo loro, rimane invisibile, senza mai assumere una dimensione concreta, sociale e collettiva, di popolo. La conseguenza di questa concezione autoritaria è che ogni individuo è condannato a restare isolato e indifeso di fronte al potere, senza legami. Tali idee disgregatrici hanno avuto una piena e incontrastata applicazione in Italia nel recente biennio 2020-2021, ispirando le rigidissime e insane misure prese dal governo di Giuseppe Conte e Roberto Speranza con la giustificazione del coronavirus. L'Italia intera è rimasta chiusa e bloccata per lunghi mesi, con strade e locali pubblici deserti, mentre l'ineffabile Fiorello catechizzava il pubblico televisivo con il suo servile sermoncino: "Io reesto a caasa!".

Dulcis in fundo. Il concetto di "dissidente pericoloso", ben vivo nel Piemonte sabaudo, che considerava nemici tutti coloro che criticavano la politica del governo, si trasformò più tardi, nelle discussioni fra interventisti e pacifisti al tempo della Grande Guerra, nella figura del "nemico interno". Questa figura non è mai morta e oggi è più viva che mai. Il "nemico interno" di oggi, considerato una sorta di traditore dell'interesse nazionale, è il cittadino che rifiuta il vaccino anti-covid o quello che non crede alla santità e all'eroismo della resistenza ucraina e critica le sanzioni alla Russia. E' un individuo da tenere a bada e da isolare. La parola d'ordine, perciò, è sempre la stessa: Avanti Savoia!

 

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