giovedì 22 febbraio 2024

Carlo Alianello (1901-1981). L'eredità della Priora. Romanzo. Feltrinelli, 1979


 ‘L’eredità della Priora’, pubblicato nel 1963, ha le stesse caratteristiche del primo romanzo di Alianello, ‘L’alfiere’, che io ho commentato su questo Blog qualche settimana fa; però non ha più i difetti che ho trovato in quell’opera del 1942, o almeno non li ha in modo così marcato. Alianello è un grande narratore. I dialoghi, anche quelli dove si discute di storia e di politica, non hanno qui più niente di estrinseco, di artificioso e di didascalico, ma sono fusi con l’azione e con i personaggi. Che Alianello non sia nemmeno citato nelle storie letterarie, è una prova del vergognoso conformismo culturale dell’Italia ‘democratica’ del dopoguerra. Un romanzo noioso come ‘Gli indifferenti’ è portato alle stelle, perché in esso si è voluto vedere lo specchio della noia e della corruzione della piccola borghesia fascista, mentre ‘L’eredità della Priora’, opera ricca, complessa e varia, è pressoché ignorata. Sotto l'egemonia culturale dei progressisti, il romanzo di Moravia è sembrato molto attuale. Quello di Alianello, invece, che capovolge l’interpretazione eroica del Risorgimento, è stato considerato reazionario e anacronistico. In realtà, però, l’opera dello scrittore lucano (anche se nato a Roma) è troppo profonda e lungimirante per servire agli interessi di singole  botteghe ideologiche. Ammettiamo pure, con generosità, che il romanzo di Moravia descriva la piccola borghesia fascista (che è il punto più alto fino al quale sa risalire la critica di intellettuali democratici come Augias, Scalfari & C.), non si può negare, però, che il libro di Alianello pone problemi ben più essenziali e intrinseci alla storia d'Italia: infatti se non si mette in discussione il modo con cui si è arrivati all'unità nazionale, non si capisce la decadenza e il decadimento dell'Italia e degli italiani di oggi. In questa prospettiva, 'L’eredità della Priora’, oltre ad avere una superiore qualità artistica, assume un valore di attualità politica e storica che Moravia non si sogna nemmeno. Il difetto del libro, mi sembra, è, come nel primo romanzo, una certa prolissità  (però più contenuta), la mancanza di una misura che, se Alianello non cedesse continuamente al suo sovrabbondante talento di descrivere tutto nei minimi dettagli, avrebbe dato a quest'opera robusta e compatta anche una felice agilità.  Tuttavia la sovrabbondante passione descrittiva di Alianello offre una grande ricchezza di impressioni e di suggestioni, come se il lettore facesse un lungo viaggio nel sud d'Italia. I vestiti, le abitudini, i cibi, i passatempo dei galantuomini (nelle due farmacie della cittadina capoluogo, al caffè o in qualche sacrestia accogliente), tutto è descritto con premurosa attenzione o con fantasia accesa. "Nel fango attaccaticcio gli zoccoli dei cavalli facevano un suono come di bottiglie stappate con precauzione".  I dialoghi in dialetto sono credibili, naturali e spiritosi. La scena in cui la moglie di un notabile locale intrattiene il giovane Andrea Guarna e gli presenta, con la speranza di un possibile matrimonio, le proprie figlie piuttosto bruttine, è fresca e spiritosa come una scena di Goldoni. "Intanto donna Antonietta continuava ad informarlo delle virtù delle figlie: 'Nanà suona l'arpa... na meraviglia, barone, tale e quale a un angelillo del cielo... No, l'arpa non l'abbiamo acquistata... che vulite truvà a stu paiese? ma mio marito l'ha commissionata a Parigi... Pé tramente 'a nennella va a suonare lo strumento addò... voglio dire in casa della maestra, donna Amalia Peluso, diplomata a San Pietro a Maiella, e Ninì sona 'o mandulino. 'A verità, io avevo l'intenzione di fargli scegliere 'o pianoforte a Ninì, ma poi mi sono disillusa, perché 'o pianoforte mò sta diventando plebeo...' ". Alianello, da grande narratore, sa animare e rendere indimenticabili come vividi affreschi anche le scene piene di folla: combattimenti fra briganti e soldati, feste ufficiali di gentiluomini e militari, grandi pranzi di famiglia. A Rionero in Vulture, in casa del possidente don Pasquale Forogna, c'è un pranzo di gala. Lunga tavola in uno stanzone vastissimo. "Attorno attorno, come un festone nero, c'era la parata di tutta la famiglia... In prima fila Gerardo vide le donne; ma erano tutte vecchie... E queste vecchie erano tutte formidabili nella loro veste nera, nel corpetto nero, nello scialle nero...". Accenno soltanto alla capacità di Alianello di cogliere sentimenti intimi d'amore, slanci di religiosità, come nella figura complessa e ascetica della Priora, di descrivere facce caricaturali che nel Meridione sono così frequenti (Rocco Sfregola "allargò sulla faccia un sorriso che gli scoprì un guazzabuglio di denti neri, scompigliati e spersi"). Non mancano episodi pieni di fantasia surreale, di superstizione, di sentimenti primitivi: tutti elementi che sono vivi ancora oggi nella vita meridionale. Quando Gerardo Satriano fugge da Potenza per salvarsi dai soldati piemontesi, càpita per la seconda volta nella casa di favola di due giovani sorelle che sembrano piovute dal cielo: Carmenella, adolescente Giunone, e Nannina, una Venere o Diana. "Streghe o no, erano brave femmine e l'avevano tenuto come fosse un re; con lui avevano diviso tutto, la tavola, la bottiglia e perfino il letto. L'avevano messo a dormire tra loro nel letto grande e Gerardo ci si trovava comodo... Gli pareva d'essere diventato un turco con due mogliere, la bionda e la bruna, l'esile e la polposa...". Ma il grande amore di Alianello per la sua terra e la sua gente trova più spesso un tono doloroso e sarcastico. Parla un galantuomo che si è fatto brigante: "I proprietari e i dotti hanno dirupata Napoli, l'hanno assassinata. Noi napoletani non rialzeremo la testa da tanta vergogna, d'esserci consegnati all'invasore lietamente per fanatismo, per corruzione, per indifferenza, per desiderio di novità, che tra un secolo o due. I nostri proprietari non hanno nessun attaccamento alla terra, i nostri saputi non sentono la responsabilità della loro cultura...". Un cafone che ascoltava queste parole chiede: "Eccellenza, voi che sapite tante belle cose, perché i piemontesi ci hanno voluto pigliare la terra nostra?". "Come? Non lo sai? Per amore di libertà".

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