domenica 11 febbraio 2024

Carlo Alianello (1901-1981), La conquista del Sud. Il Risorgimento nell'Italia meridionale. Rusconi, 1972


 Il libro di Alianello è una antologia di testi, molti dei quali già cinquant'anni fa, quando il libro fu pubblicato, erano introvabili, scritti soprattutto da testimoni oculari. Sulle menzogne, la slealtà, il razzismo e la ferocia dei piemontesi non mi dilungo. Queste pagine raccontano sia i casi particolari di violenza e di repressione, che le leggi e i proclami crudelissimi che le ispirarono. Sulle conseguenze ancora attuali di quella conquista e del saccheggio del Sud da parte dei Savoia, ho già detto qualcosa commentando in questo Blog vari libri di storia e di denuncia. Trovo invece qui per la prima volta (ma le mie letture sull’argomento non sono molte) lo sforzo di capire come mai il Regno delle Due Sicilie sia crollato così facilmente, praticamente senza combattere, travolto soprattutto dal tradimento in massa dei generali, degli alti ufficiali, dei comandanti della flotta, e dalle giravolte tortuose di tanti ministri, direttori, intendenti e perfino preti e vescovi. La causa principale, secondo Alianello, fu l’irrequietezza e l’indecisione della classe media, infarinata superficialmente di illuminismo, giansenismo, ecc.; furono le velleità di gran parte degli intellettuali, ansiosi di essere ‘moderni’, simili agli inglesi e ai francesi, ansiosi di far entrare a Napoli (“Cina d’Europa”), un soffio innovatore e vivificatore. Soprattutto gli pseudo istruiti erano sempre a caccia di novità. Perniciosa fu anche l’influenza dei ‘paglietti’, cioè gli avvocatucoli, avidi, chiacchieroni e cavillosi (l’avvocato nel Meridione è ancora oggi una figura sociale negativa e parassitaria). Alianello cita lo storico Raffaele De Cesare. L’Europa assordata da tante ripetute accuse non smentite, considerò come vera la famosa frase sulle carceri napoletane come ‘negazione di Dio’ scritta da lord Gladstone a lord Aberdeen nel 1851. Gli sfaccendati, i faccendieri, i dottoruzzi che bevono un facile sapere dai giornali, divennero strumenti di rivolta senza saperlo; ripetevano le lamentazioni senza intendere qual danno facessero, né quale immaginaria felicità si inventassero. Concorrevano a discreditare il governo molti avvocati tristi, che nella magistratura e nelle leggi trovavano argini alla loro avidità; giornalisti, poetastri, sollecitatori di affari; negozianti falliti o senza capitali, medici senza malati, studenti senza libri, proletari svogliati dalla fatica, camorristi, commessi viaggiatori, usciti di galera, servitorame a spasso; questa mescolanza di persone diverse era interessata ai subbugli, tutti costoro erano propagatori o inventori di mille laidissime favole. Che tutti costoro fossero della nazione napoletana solo una minima parte e la più rea, i fatti posteriori hanno pienamente dimostrato all’Europa stupefatta delle nefandezze che nei loro trionfi hanno perpetrato. 
Questo quadro sociale disegnato in breve da Raffaele De Cesare a me sembra molto simile alle  descrizioni che Hippolyte Taine fa con maggiore ampiezza della società prerivoluzionaria nella sua opera “Le origini della Francia contemporanea”. 
Dopo la conquista, scrive Alianello, nel Meridione non fu messa più pietra su pietra; le opere iniziate non furono mai portate a termine; quelle che cominciavano a dare già qualche frutto furono prima interrotte e poi soppresse. Tutte le cose buone furono cancellate o rapinate e portate al Nord a piemontesizzarsi. I contadini furono abbandonati e costretti a vivere nelle condizioni peggiori: non ebbero più un tozzo di pane da rosicchiare e in più dovettero pagare tasse e gabelle delle quali fino ad allora mai avevano sentito parlare. Per la prima volta nella loro storia travagliata, si videro sequestrare il campo, la capanna, il mulo, gli attrezzi, e non da un feudatario spietato e violento, ma da quel grande benefattore – così si proclamava – che fu il Grande Progresso Liberatore. Nessuno dei tanti ministri o grandi uomini del Meridione, a cominciare da Francesco Crispi per terminare col papa laico della cultura italiana, Benedetto Croce (il grande filosofo che ha definito i contadini ribelli ‘osceni briganti’), ha mosso un dito per riscattare l’oltraggio; nessuno s’è mai opposto alle leggi inique che, per favorire le industrie del Nord, cancellavano ogni traccia di quelle del Sud e ne ferivano a morte l’agricoltura un tempo fiorente. Nessuno ha difeso il proprio paese a viso aperto, anche solo limitandosi a dire la verità.

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