Questo libretto è costituito da pensieri tratti da scritti ancora inediti alla morte dell’autore.
Per
Schopenhauer la felicità vera, la felicità com’è intesa comunemente, cioè come
esplosione di gioia, è impossibile. Vivere felici può significare solo vivere
il meno infelici possibile, cioè senza dolore. E’ l’assenza del dolore che
rende la vita sopportabile. Schopenhauer cita Voltaire: “La felicità è solo un
sogno; invece il dolore è reale”. Ma il dolore non dipende soltanto dalle
circostanze accidentali nelle quali possiamo imbatterci. C’è una disciplina del
pensiero e dei sentimenti che può ridurlo al minimo e consentirci di
trascorrere una vita serena. Conoscere i propri limiti e le proprie attitudini
è la via più sicura per arrivare alla maggior contentezza possibile di se
stessi. Considerare un male che ci ha colpiti come un male che non potevamo
evitare, assumere cioè un atteggiamento fatalista è una consolazione efficace. “Ne
deriva che innumerevoli mali permanenti, come deformità, povertà, bassa
condizione, bruttezza, abitazione repellente, vengano sopportati da
innumerevoli persone con perfetta indifferenza e non vengano più affatto
sentiti, al pari di ferite cicatrizzate, semplicemente perché costoro sanno che
una necessità interna o esterna non consente qui di cambiare nulla; mentre
coloro che sono più fortunati non capiscono come si possa sopportarli”. Perciò
nessun uomo si sente privato dei beni ai quali non si è mai sognato di
aspirare. Schopenhauer consiglia, per vivere tranquilli, di rivolgere il
proprio pensiero solo al presente e di non fissarsi sui mali che potrebbero
capitare in futuro, compresa la morte. Bisognerebbe abituarsi a considerare i
mali probabili come se non giungessero mai e i mali sicuri, come la morte, come
se non giungessero certo adesso. Solo il presente è lo scenario della nostra
felicità: esso va assaporato in ogni momento nel modo più sereno possibile. Fin
qui i consigli del filosofo assomigliano o, meglio, anticipano quei diffusi
manualetti che oggi vanno tanto di moda per aiutare a superare la depressione.
Ma poi Schopenhauer fa delle riflessioni profonde che danno soddisfazione alla
nostra curiosità di capire la natura umana e una calma sicurezza alla nostra
inquietudine. Parte da un pensiero di Goethe (“La personalità è la felicità più
alta”) per spiegare quanto la mente sia importante per la nostra felicità,
grazie al modo in cui essa recepisce i fatti esterni. Il medesimo avvenimento
che, capitando a un genio, risulta sommamente interessante, diventa invece
insignificante per una testa vuota. Ciò che un uomo è in sé e ha in se stesso,
cioè la sua personalità, è l’unico mezzo diretto per conseguire la felicità e
il benessere. Tutto il resto (i beni materiali, ecc.) è indiretto e il suo
effetto non è duraturo e può quindi essere vanificato, mentre ciò che uno è, l’individualità,
è un bene permanente e opera in ogni istante. La felicità di un individuo
dipende interamente da ciò che lui stesso è per se stesso. Se il proprio sé di
un uomo non vale niente, allora tutti i piaceri sono per lui senza sapore come
vini eccellenti in una bocca tinta di bile. Un uomo ricco di spirito, in
perfetta solitudine, si intrattiene in modo eccellente con i propri pensieri e
le proprie fantasie, mentre un uomo ottuso si annoia nonostante un continuo
avvicendarsi di feste e spettacoli. Il destino di un uomo povero può certamente
diventare migliore, ma un babbeo rimane un babbeo per tutta l’eternità, fosse
egli in paradiso circondato da urì. Rispecchiati nella coscienza opaca di un
babbeo, ogni piacere e ogni magnificenza appaiono assai miseri se paragonati
alla coscienza di un Cervantes, quando, in una scomoda prigione, scrisse il Don
Chisciotte.
1 commento:
Bravo papá!
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