domenica 19 novembre 2023

Arthur Schopenhauer, L'arte di essere felici esposta in 50 massime. Adelphi, 2004


 Questo libretto è costituito da pensieri tratti da scritti ancora inediti alla morte dell’autore.

Per Schopenhauer la felicità vera, la felicità com’è intesa comunemente, cioè come esplosione di gioia, è impossibile. Vivere felici può significare solo vivere il meno infelici possibile, cioè senza dolore. E’ l’assenza del dolore che rende la vita sopportabile. Schopenhauer cita Voltaire: “La felicità è solo un sogno; invece il dolore è reale”. Ma il dolore non dipende soltanto dalle circostanze accidentali nelle quali possiamo imbatterci. C’è una disciplina del pensiero e dei sentimenti che può ridurlo al minimo e consentirci di trascorrere una vita serena. Conoscere i propri limiti e le proprie attitudini è la via più sicura per arrivare alla maggior contentezza possibile di se stessi. Considerare un male che ci ha colpiti come un male che non potevamo evitare, assumere cioè un atteggiamento fatalista è una consolazione efficace. “Ne deriva che innumerevoli mali permanenti, come deformità, povertà, bassa condizione, bruttezza, abitazione repellente, vengano sopportati da innumerevoli persone con perfetta indifferenza e non vengano più affatto sentiti, al pari di ferite cicatrizzate, semplicemente perché costoro sanno che una necessità interna o esterna non consente qui di cambiare nulla; mentre coloro che sono più fortunati non capiscono come si possa sopportarli”. Perciò nessun uomo si sente privato dei beni ai quali non si è mai sognato di aspirare. Schopenhauer consiglia, per vivere tranquilli, di rivolgere il proprio pensiero solo al presente e di non fissarsi sui mali che potrebbero capitare in futuro, compresa la morte. Bisognerebbe abituarsi a considerare i mali probabili come se non giungessero mai e i mali sicuri, come la morte, come se non giungessero certo adesso. Solo il presente è lo scenario della nostra felicità: esso va assaporato in ogni momento nel modo più sereno possibile. Fin qui i consigli del filosofo assomigliano o, meglio, anticipano quei diffusi manualetti che oggi vanno tanto di moda per aiutare a superare la depressione. Ma poi Schopenhauer fa delle riflessioni profonde che danno soddisfazione alla nostra curiosità di capire la natura umana e una calma sicurezza alla nostra inquietudine. Parte da un pensiero di Goethe (“La personalità è la felicità più alta”) per spiegare quanto la mente sia importante per la nostra felicità, grazie al modo in cui essa recepisce i fatti esterni. Il medesimo avvenimento che, capitando a un genio, risulta sommamente interessante, diventa invece insignificante per una testa vuota. Ciò che un uomo è in sé e ha in se stesso, cioè la sua personalità, è l’unico mezzo diretto per conseguire la felicità e il benessere. Tutto il resto (i beni materiali, ecc.) è indiretto e il suo effetto non è duraturo e può quindi essere vanificato, mentre ciò che uno è, l’individualità, è un bene permanente e opera in ogni istante. La felicità di un individuo dipende interamente da ciò che lui stesso è per se stesso. Se il proprio sé di un uomo non vale niente, allora tutti i piaceri sono per lui senza sapore come vini eccellenti in una bocca tinta di bile. Un uomo ricco di spirito, in perfetta solitudine, si intrattiene in modo eccellente con i propri pensieri e le proprie fantasie, mentre un uomo ottuso si annoia nonostante un continuo avvicendarsi di feste e spettacoli. Il destino di un uomo povero può certamente diventare migliore, ma un babbeo rimane un babbeo per tutta l’eternità, fosse egli in paradiso circondato da urì. Rispecchiati nella coscienza opaca di un babbeo, ogni piacere e ogni magnificenza appaiono assai miseri se paragonati alla coscienza di un Cervantes, quando, in una scomoda prigione, scrisse il Don Chisciotte.