Questa novella racconta in modo leggero un breve tratto della vita squallida e mediocre non solo degli abitanti di un paesotto apparentemente tranquillo dei dintorni di Vienna, al tempo dell’impero austro-ungarico, ma anche dei cittadini benestanti della capitale. Il racconto scorre come un fiume lento che trascina con sé le immondizie del territorio che attraversa. Ma Schnitzler non è un moralista: descrive con malinconia e persino con poesia le miserie della vita. Berta Garlan “rabbrividì nel rendersi conto che il passato si era dissolto al vento, che coloro che le avevano dato la vita erano morti, che quelli che avevano condiviso la sua esistenza erano lontanissimi, che legami apparentemente indissolubili si erano sciolti. Tutto, tutto era malcerto e perituro!”. In questo mondo arido e senza amore ci sono solo sesso e ipocrisia; e persino quel poco d'amore autentico e generoso che resiste è inefficace e non ha alcun potere di suscitare altro amore. In questo ambiente soffocato sopravvive appena qualche sussulto di dignità. Quando Berta riceve da Vienna la lettera del grande amore della sua vita, ritrovato dopo un triste matrimonio, è sopraffatta da un brivido d’orrore. Quest'uomo amato da giovane, diventato ora un musicista famoso, si rivela un amante indifferente: le propone infatti con freddezza di incontrarsi per un giorno e una notte solo ogni quattro o sei settimane. “Che schifo, che schifo!... Basta, chiuso, finito!”. Ma da questa immensa delusione nasce anche un sentimento profondamente umano. Dopo l’orgoglioso suicidio della bella e inquieta moglie del signor Rupius, Berta ha compassione per il marito infermo rimasto solo. “Provò l’irresistibile bisogno di dirgli parole di conforto. Per un istante le parve che il suo destino avesse avuto l’unico significato di farle intendere appieno la miseria di quest’uomo”. E questo sentimento redime Berta Garlan dalla mediocrità della sua vita.
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