lunedì 2 maggio 2011

Orlando Figes: La danza di Nataša. Storia della cultura russa (XVIII-XX secolo). Einaudi 2004. Parte 5^.

San Pietroburgo, fondata all’inizio del Settecento, era più di una città. Era un grande progetto, in certo modo utopistico, di ingegneria culturale per rimodellare il russo come uomo europeo. Dostoevskij, nelle ‘Memorie dal sottosuolo’, la definì ‘la più astratta e artificiosa città di tutto il globo terrestre’ (p. 9). Aleksandr Herzen disse che la sua uniformità gli faceva venire in mente una caserma. Era una città non a misura d’uomo, ma una città ordinata secondo l’astratta simmetria delle sue forme architettoniche piuttosto che secondo la vita dei suoi abitanti. In effetti, l’autentico scopo di queste forme era di mettere in riga i russi come soldati (p. 12). Ogni aspetto della cultura di San Pietroburgo era designato a negare la Moscovia ‘medievale’. Nell’intenzione dell’imperatore che l’aveva fondata, diventare cittadino di Pietroburgo voleva dire lasciarsi alle spalle gli ‘oscuri’ e ‘arretrati’ costumi del passato russo per entrare, come russo europeo, nel moderno mondo occidentale del progresso e dei Lumi (p. 9). Con l’edificazione di Pietroburgo, le fortune di Mosca declinarono rapidamente. Dopo l’invasione di Napoleone nel 1812, il centro di Mosca fu finalmente ricostruito. Ma quella febbrile ansia di costruzione era scevra da ogni servile imitazione dell’Occidente (pp. 132-3). L’opposizione tra Mosca e San Pietroburgo (‘Pietroburgo è la nostra testa, Mosca il nostro cuore’, recitava un detto russo) era un punto cruciale nella disputa ideologica tra occidentalisti e slavofili circa il destino culturale della Russia. I primi facevano di Pietroburgo il modello dei loro progetti di matrice europea, mentre i secondi idealizzavano Mosca come centro dell’antico stile di vita russo. L’ideale slavofilo di una comunità spirituale unita dai costumi autoctoni russi sembrava materializzarsi nel profilo medievale della città (p. 134). Indotte a diventare europee, le classi colte si erano tanto estraniate dalla vecchia Russia, avevano per tanto tempo dimenticato come si parlava e agiva alla russa, che quando, all’epoca di Tolstoj, si sforzarono di definirsi di nuovo come ‘russe’, furono costrette a reinventarsi la nazione ricorrendo a miti storici e artistici. Riscoprirono la loro ‘natura russa’ grazie alla letteratura e all’arte, proprio come Nataša Rostov, l’eroina di ‘Guerra e Pace’, ritrova la sua ‘natura russa’ grazie ai rituali della danza (p. XVII). Durante tutto l’Ottocento, in Russia, in maniera straordinaria, assolutamente singolare, l’energia artistica era quasi totalmente consacrata a ricercare e a cogliere l’indole nazionale del paese. In nessun altro luogo l’artista si è dovuto addossare in egual misura il ruolo di guida morale e di profeta nazionale, o è stato più temuto e perseguitato dallo Stato. Estraniati dalla Russia ufficiale a causa della loro concezione politica e dalla Russia contadina a causa della loro educazione, gli artisti russi si assunsero il compito di creare una comunità nazionale di valori e di idee grazie alla letteratura e all’arte (p. XV). (continua al post successivo)

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