
"su cinquantamila che vivono in città, non uno che levi un grido, che si sdegni ad alta voce"
(Anton Cechov, L'uva spina)
Nel 2009, nel programma per la sua rielezione a sindaco, il vispo Simone Gheri, nonostante le sue smanie di futuro e di cambiamento, usa lo stesso repertorio di slogan usato fino alla nausea nel corso di quasi un trentennio. Comincia con una raffica di affermazioni gratuite e autocelebrative: “La visione progettuale e la conseguente capacità di governare i cambiamenti dimostrate in questi ultimi decenni ha fatto sì che Scandicci non sia diventata [a questo punto, ci sono già due errori d’italiano] una anonima periferia, un ‘quartiere dormitorio’, ma via via sempre più una città: con il proprio carattere, senso di comunità, di appartenenza, ruolo e sostanza”. Faccio fatica a capire di che cosa parli il sindaco Gheri: forse del fatto che tanti vecchi e utili negozi (ormai ‘obsoleti’, direbbero gli innovatori) siano spariti per far posto a negozi di capi di abbigliamento all'ultima moda e a nuove banche, che in pochi anni sono raddoppiate o triplicate di numero. Simone Gheri continua imperterrito: “Questo risultato si deve al lavoro di tutti, un gioco di squadra nel quale la politica, gli amministratori, le categorie economiche, i lavoratori – in una parola, i cittadini – sono stati protagonisti. Tutti attori, nessuna comparsa. Abbiamo aperto le porte alla sperimentazione culturale, alla socializzazione, all’innovazione dei sistemi educativi, allo spirito imprenditoriale. Abbiamo favorito la crescita della nostra città intorno ai valori materiali [bisogna pur vivere!] e immateriali. Abbiamo tradotto le aspirazioni in risultati concreti. Abbiamo disegnato, come fanno i bambini, una città di persone per le persone e piano piano, con attenzione e cura, abbiamo iniziato a costruirla. Un giardino, due giardini, tre giardini. Una piazza, due piazze, tre piazze. Una scuola, due scuole, tre scuole. Un asilo, due asili, tre asili. Mattoni, pietre. Non solo mattoni. Non solo pietre. Ma mattoni e pietre per gli uomini, le donne, i bambini. Per le persone. (...) Abbiamo proposto una visione, un progetto. Un’idea. Anzi: un’idealità”. Dallo stile, sembra che Simone Gheri abbia letto molto Il Piccolo Principe, quella “cagata pazzesca”. L’ ‘idealità’ di cui parla il sindaco, però, sfrondata della retorica culturalistica (“ci piace definire la nostra città come la città dei saperi”), ha una feroce anima d’acciaio. “Resta, il nostro, un sistema locale attrattivo nel quale le imprese vengono volentieri a insediarsi. Riteniamo che la nostra capacità e sensibilità politica, insieme alla dotazione di infrastrutture ed alla qualità complessiva che la città riesce ad esprimere, siano state e debbano continuare ad essere i fattori determinanti per consolidare e sviluppare la nostra capacità di attrazione e consentirci di continuare a vedere Scandicci come una vera e propria città del lavoro. (...) Sono aumentate le presenze di studi professionali e di soggetti imprenditoriali che operano nel campo dei servizi alle imprese e dei servizi alle persone. Nel prossimo futuro queste attività troveranno altri spazi anche nel centro della città e lungo l’asse della tramvia”. Qui siamo arrivati finalmente alla sostanza del progetto: attirare e favorire l’insediamento a Scandicci di imprese, commercianti e affari. “E’ nostro obiettivo sostenere questo processo con ulteriori azioni di coinvolgimento e protagonismo degli imprenditori del commercio. Consolideremo la realtà del centro commerciale naturale, che con la pedonalizzazione dell’asse Resistenza-Matteotti e il nuovo Centro Rogers, incrementerà ulteriormente la nostra capacità di attrazione metropolitana”. Più chiaro di così! Tutto il resto (“una panchina, due fontane, tre lampioni”) è una tiritera di aria fritta. Certo un po’ di feste per la popolazione ci vogliono (come in tutte le epoche del passato); una spruzzatina, anche abbondante, di culturame sarà utile per soddisfare le aspirazioni del ceto medio riflessivo; e infine un Centro Rogers, che sarà una mirabilandia di supermercato, appagherà le esigenze urbis et orbis. Insomma, la mentalità degli amministratori è sempre quella di 50 anni fa, quando, favorendo la speculazione edilizia fino alla saturazione di tutti gli spazi, portarono Scandicci alla Nakba. E se allora non ci riuscirono completamente, non fu ‘colpa’ loro. Ma oggi, con questo programma aggiornato, l'obiettivo sarà certamente raggiunto. A me sembra che Scandicci si sia sviluppata e voglia ancora prosperare (in senso strettamente affaristico) grazie a una rendita di posizione, sfruttando cioè la sua vicinanza a Firenze e la disponibilità di residui spazi da occupare. Non ha sviluppato energie proprie, proprie capacità, ma –parassitariamente- cerca di sfruttare occasioni che solo la prossimità di Firenze le offre. Ma queste occasioni, per eccesso di avidità, non sa nemmeno calibrarle per inserirle senza troppe scosse nella cornice urbana che ha costruito. Cerca invece di arraffare più che può, anche se questa indigestione di occasioni e di iniziative farà saltare l’ordinamento e il modo di vivere che si erano consolidati. E’ vero che il sindaco Simone Gheri, che adotta come motto una frase dello sfruttatissimo John Fitzgerald Kennedy, sembra esprimere nel suo programma anche buoni propositi ecologistici. “Abbiamo a cuore l’ambiente come le persone, perché attribuiamo al termine ‘ambiente’ connotazioni filosofiche [perbacco!], culturali ed economiche, che pongono al centro del problema la persona”. Ma siamo sempre nel vago. Subito dopo, invece, il sindaco enuncia un principio, meno filosofico e molto pratico, che vanifica quello che ha appena detto e ha uno spettro così ampio che può giustificare qualsiasi colpo di testa, anche quello recente di installare grandi e orrendi cartelloni pubblicitari perfino nei giardini pubblici, davanti alla cosa più bella che abbia Scandicci, il grande pino della Coop. “La città vive e continua se si trasforma. Le trasformazioni sono il segno di una città capace di progredire, reinventarsi e rinnovarsi: in grado di rispondere ai nuovi bisogni, ai nuovi desideri, ai nuovi diritti, alle economie, alle loro crisi ed ai nuovi modelli di sviluppo”. Vorrei ricordare un piccolo fatto: nella seconda metà degli anni Sessanta, le più importanti città italiane smantellarono più che poterono le loro linee tranviarie. Per rispondere ai 'nuovi bisogni, ai nuovi desideri, alle economie e ai nuovi modelli di sviluppo’, i geniali amministratori di allora disarmarono le città e le regalarono indifese alla motorizzazione privata.
P. S. Nei miei titoli ho parlato di vandali giacobini. Il vandalismo credo di averlo spiegato a sufficienza. Li ho definiti anche giacobini, perché costoro pretendono, oltre tutto, di dire a noi cittadini come dobbiamo vivere e di che cosa abbiamo bisogno.
P. S. Nei miei titoli ho parlato di vandali giacobini. Il vandalismo credo di averlo spiegato a sufficienza. Li ho definiti anche giacobini, perché costoro pretendono, oltre tutto, di dire a noi cittadini come dobbiamo vivere e di che cosa abbiamo bisogno.
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