Sembra, in conclusione, che per trasformare la Scandicci-dormitorio in una ‘città’ fosse indispensabile riempire l’ultimo grande spazio che era rimasto libero dentro l’abitato. Per quanto mi risulta, gli anonimi cittadini come me non si sono mai lamentati della Scandicci-dormitorio. Nel raggio di 500 metri hanno sempre avuto tutto: uffici postali, edicole, bar, supermercati, banche, libreria, ristoranti, barbieri, biblioteca, chiesa, fermate dell’autobus, uffici di compagnie assicurative, sindacati, ambulatori medici, studi dentistici, cinema, distributori di benzina, carrozzieri, meccanici, farmacie e tantissime altre attività.
Questo passaggio, ormai in fase di realizzazione, dalla Scandicci-dormitorio ad una Scandicci-città è stato sempre accompagnato da una grande ostentazione di temi culturali, di esigenze di rinnovamento culturale, di aperture ad una cultura nuova, di attenzione ai problemi esistenziali dei cittadini, e via filosofando.
Già nel 1985 uscì su l’Eco di Scandicci (che, dopo la pubblicazione delle lettere contro il Nuovo Piano Regolatore, cessò prematuramente di esistere) un articolo (11 aprile, a cura di Sandro Beruschi) che conteneva (ripresi pari pari da un documento del 1983: ‘Scandicci, proposte per la città’) tutti i temi culturalistici che sarebbero stati sbandierati tali e quali negli anni successivi, fino ad oggi. “Un altro punto fondamentale [del NPR] è quello relativo alla proposta di un nuovo modo di abitare. Recuperando Scandicci come città pubblica, infatti, è evidente che per ‘abitare’ non si intenderà più starsene solo fra le mura della propria casa, ma poter fruire completamente della città, dei suoi punti pubblici che favoriscano la vita ‘insieme’ (...) Fine ultimo di tutta l’operazione, ovviamente, resta quello di promuovere una migliore qualità della vita”.
E chi poteva dubitarne?
Due studiosi, Roberto Aiazzi e Marco Jaff, dai quali mi sarei aspettato una maggiore concretezza, scrivono a pag. 143 del loro libro “Scandicci: da borgo a città” (1997): “Nella visione dei progettisti la scelta strategica di fondo consisteva nel ‘riempire’ con un progetto urbano alto ed articolato gli spazi rimasti inedificati intorno al Palazzo Comunale, concentrando in questo luogo tutte le funzioni pubbliche e di pregio della città”.
E dopo varie delucidazioni, i due autori aggiungono (pag. 144-145):
“Vengono indicate sei trasformazioni e coniate altrettante ‘parole d’ordine’ di indubbia efficacia e suggestione che riportiamo integralmente [io mi limito ad enunciarle]: Scandicci promuove lo sviluppo della piana (...) Scandicci diventa città (...) Scandicci propone un nuovo modo di abitare (...) Scandicci città pubblica (...) Scandicci città di cultura e spettacolo (...) Scandicci città delle donne, bambini e anziani”.
Troppa grazia!
(continua al post successivo)
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