martedì 1 marzo 2011

Scandicci: da borgo agricolo a città; Simone Gheri, sindaco di Scandicci. 7^ p. (terza parte)

Ma prima di dire qualcosa sull’oggi, vorrei fare una considerazione.
Qual è l’edificio più bello di Scandicci? C’è un edificio (a parte parecchie graziose villette del primo Novecento) abbastanza bello che possa dare qualità a una strada o a una piazza? Verrebbe in mente il vecchio Comune, con la sua struttura ottocentesca, ma a me sembra più bella la ex scuola Duca degli Abruzzi, ora sede della Biblioteca comunale. Sia nel caso si preferisca il vecchio Comune (1870), sia che si scelga la ex scuola (fine anni Trenta), bisogna dire che a Scandicci da almeno 75 anni non si costruisce un palazzo che si possa guardare con piacere. Del nuovo Comune, che mi pare l’unico edificio costruito (a cavallo degli anni 60 e 70) con una certa pretenziosità, forse il disegno non è brutto, ma sono brutti i materiali, il colore e il carattere troppo massiccio.
Della grande scuola Russell-Newton, costruita in anni recenti, sfido chiunque a dire che sia anche solo “guardabile”. E’ un vero colpo nello stomaco. Qualcuno mi ha detto: “Eh, ma poi ci si abitua!”. Sì, per fortuna, ci si abitua a tutto. Ma abituarsi alla bruttezza è già un inizio di corruzione. In generale, oggi, architetti, urbanisti e amministratori, inseguendo il mito di una effimera modernità e pensando solo agli affari, non hanno nemmeno la capacità di copiare le cose belle, che sono moderne sempre.

Il vecchio Comune, più che essere bello in sé, è bello dove sta, perché acquista risalto dalle graziose casette allineate sui quattro lati di una piazza di dimensioni perfette che creano uno spazio che si può abbracciare con un unico colpo d’occhio. L’Amministrazione comunale, con i suoi esperti e consulenti, ha voluto spezzare questa visione perfetta e gratificante con una pensilina che sta in quella piazza come un cavolo su una torta nuziale. E’ questo il tipo di 'nuovo' che piace? E’ questa la modernità che non bisogna respingere? E’ questa l’innovazione che le élites culturali di Scandicci hanno saputo elaborare?
Ho appreso che il solito Sergio Staino, grande disegnatore e uomo di cultura, faceva parte della commissione tecnica che ha scelto il progetto della pensilina. Bravo. Applausi.
L’addetto stampa del Comune, Claudio Armini, ebbe il coraggio, sul giornaletto ‘Città Comune’ (nov.-dic. 2003), di fare una piccola dissertazione psicoanalitica a difesa di quella pensilina: chi la critica, ha paura del nuovo e dei cambiamenti; chi l’apprezza, ha coraggio, ottimismo e fiducia nel futuro. Quello ‘psicoanalitico’ è davvero l’unico argomento a disposizione, quando non si è capaci di offrire giustificazioni di valore estetico. Il bravo Armini aggiungeva poi che il monumento ai caduti era stato spostato dal centro della piazza “anche per risolvere una stridente contraddizione di quel ‘simbolo guerriero’ con le sensibilità di oggi, orientate alla pace, contro le guerre”. Non voglio commentare questi piccoli concetti sciropposi. Mi dispiace che Armini non sappia vedere in quei monumenti ai caduti la gratitudine, la pena e il ricordo. Però è chiaro: se i cambiamenti li decidono e li approvano persone di questa levatura e cultura, la paura del futuro a me sembra del tutto fondata.
Di passaggio, mi permetto di fare un appello agli amministratori: per favore, spostate la pensilina in piazza Togliatti, che è una piazza così grande, che la pensilina avrebbe, lì, almeno la funzione di delimitare lo spazio, di dargli una forma, e sono sicuro che essa avrebbe anche una migliore resa estetica.
Tralascio di fare considerazioni su quella orrida muraglia che a Casellina fa da argine all’autostrada e che è molto più brutta del muro costruito in Israele per escludere i palestinesi dai territori occupati, e rinuncio anche a fare qualche divagazione critica su quel magnifico giocattolo che è la tranvia. Questo mio intervento è, necessariamente, solo un conciso (anche se noioso) cahier de doléances e non una rassegna della città.
(continua al post successivo)

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