
Dopo la firma del Patto Molotov-Ribbentrop, nell’agosto 1939, la Germania, il primo settembre, invase la Polonia occidentale; l’Unione Sovietica, la notte fra il 16 e il 17, varcò la frontiera orientale. “La Polonia fu divisa a metà... 22 milioni di polacchi e 72.806 miglia quadrate furono annessi al Reich, 13 milioni di polacchi e 77.720 miglia quadrate all’Unione” (pag. 65). L’Unione procedette subito alla ‘nazionalizzazione’ del commercio. “Praticamente, si trattava di requisire tutte le merci rimaste nel paese, per inviarle poi nell’Unione Sovietica... Una dopo l’altra, le fattorie furono requisite e chi le occupava dovette prepararsi ad abbandonarle con la propria famiglia... Mobilia e provviste di ogni genere furono asportate dalle case e dagli uffici: incluse le porte, i telai, le imposte delle finestre e le assi dei pavimenti. Tutti gli apparecchi dei laboratori e delle cliniche, le radici e le sementi delle fattorie, il legname delle foreste, grano, zucchero, tabacco, carbone, pellami, minerali, cemento, droghe e tessili, tutto fu asportato fin dalla parte più interna della Polonia orientale e inviato all’Unione” (pag. 67). I commissari politici sovietici “giunsero in Polonia già con una lista di persone da arrestare immediatamente... La lista comprendeva consiglieri comunali, dirigenti sindacali e delle associazioni operaie, capi delle organizzazioni giovanili, impiegati governativi, membri della polizia, boscaioli, ingegneri, operai specializzati, professionisti liberi, avvocati e magistrati. Ma non bastava. Fu preparata anche una lista segreta di persone da deportare in massa in Russia dal 10 febbraio [1940] in poi; più di un milione fra uomini e donne e bambini fu infatti deportato, e il numero sarebbe cresciuto se non fosse sopraggiunta l’invasione tedesca del 1941” (pagine 70 e 71). In un anno e mezzo fu deportato il 10% della popolazione! Forse quello che colpisce di più nelle testimonianze raccolte in questo libro non sono gli infiniti atti di estrema ferocia commessi dagli aguzzini sovietici, ma l’intera organizzazione del sistema giudiziario e carcerario, pensato per infliggere quotidiane umiliazioni infami e animalesche a degli esseri umani. L’atteggiamento di Stalin verso i polacchi cambiò apparentemente (ma non nella sostanza), dopo l’aggressione di Hitler all’URSS. Stalin non voleva che la Polonia avesse un governo libero e indipendente, ma un governo sottomesso all’Unione Sovietica. Il 1 agosto 1944 la popolazione di Varsavia si ribellò al dominio nazista. “Il comandante polacco Bor-Komorowski ordinava l’insurrezione polacca. Durante i primi cinque giorni, la città intiera, tolto un suburbio oltre la Vistola, fu in potere dei polacchi e metà della città vi rimase durante tutto il mese di agosto. Ma v’era un disperato bisogno di armi e munizioni, e soprattutto di aviazione... Durante i 63 giorni di amara delusione, di lenta morte della speranza, non un apparecchio sovietico di quelli che avevano la base a solo pochi minuti di distanza, venne, sia pure una sola volta, in aiuto agli abitanti di Varsavia. Mentre il fiore dell’esercito polacco era duramente impegnato a Varsavia, l’impressionante avanzata dell’esercito sovietico sulla Vistola si arrestò in modo egualmente impressionante” (pag.295). Apparecchi americani ed inglesi, che partivano dalle loro basi in Italia, potevano portare solo scarsi rifornimenti. Se fossero potuti partire dagli aeroporti sovietici, avrebbero potuto rifornire Varsavia in misura dieci volte superiore. “Ma il 16 settembre il Governo sovietico rifiutava agli apparecchi inglesi e americani l’uso di queste basi” (pag. 296). “La condotta tenuta dal Comitato di Lublino [cioè dall’organismo burocratico, creato da Mosca, che Stalin pochi mesi dopo riconoscerà come unico governo polacco] durante la rivolta polacca dimostrò senza possibilità di dubbio che esso esisteva solamente come agente di Mosca e non era minimamente interessato all’esistenza e alla libertà dei polacchi o alla vita politica della Polonia” (pag.298). Alla fine della guerra, il Governo di Lublino si rivelò una “organizzazione non solo straniera, ma anche totalitaria” (pag. 306). “Per il cittadino polacco il governo di Lublino significò il completo isolamento dal resto del mondo, il costante assoggettamento a un sistema estraneo ed ostile e la cessazione assoluta della vita privata. Nella Polonia di Lublino era un delitto ugualmente grave possedere un fucile come una macchina da scrivere... I campi di concentramento erano, a dir poco, tanto affollati quanto sei anni prima... Giorno e notte, nella Polonia ‘liberata’, gli altoparlanti disposti ovunque nelle strade, nei ristoranti, nelle stazioni ferroviarie e nelle fabbriche ruggivano la dottrina comunista e le ultime notizie dettate dal governo di Lublino” (pag.307). “La Polonia liberata fu gelosamente tagliata fuori dal resto del mondo... Nel mese di giugno del 1945, dopo quella che in Europa fu chiamata la vittoria, non esisteva alcun mezzo che permettesse alla verità di raggiungere il mondo esterno, all’infuori della fuga. In nessun paese esisteva minore libertà di parola: in nessun paese la libertà di pensiero conduceva altrettanto sicuramente ad essere ‘liquidato’ ” (pag. 308). Nella seconda metà del 1945 si costituì a Mosca un nuovo governo chiamato ‘Governo polacco di unità nazionale’. “Ma in questo nuovo Governo quattro quinti delle cariche rimasero nelle mani della gente di Lublino. Nessun membro del movimento di resistenza polacca, IL PIU’ FORTE D’EUROPA, fu chiamato a prenderne parte” (pag. 311).
Leggendo questo libro, ho ammirato il popolo polacco e il suo grande patriottismo. In quegli anni terribili, il leader del paese fu il generale Wladislaw Sikorski (1881-1943). La moglie Elena, che è l’autrice del libro, lo descrive così: “Parlava con un’autorità che gli veniva da una mente creativa e disciplinata in cui non vi era posto per alcun opportunismo o per idee che non fossero originali. Uomo d’azione e soldato, aveva per molti anni rinunciato alla sua vera vita e si era ritirato dal mondo. Lo studioso, lo storico e il pensatore, come il generale, erano presenti in lui allo stesso modo” (pag.247). Sikorski sembra un personaggio della statura del generale De Gaulle. Pochi mesi prima di morire in un misterioso incidente aereo, fece delle dichiarazioni che mi sembrano molto attuali contro gli eterni dialettici e gesuiti di tutte le chiese. Scrisse che il governo tedesco di Hitler era in contrasto con ogni legge morale, e proseguì: “E’ per opporci a questo atteggiamento mentale che noi siamo in guerra. Il male e il bene non possono esistere l’uno vicino all’altro. Né basta limitarsi puramente a disapprovare il male. Prima di questa guerra, molti erano arrivati a quel punto in cui la tolleranza rasenta la connivenza. Se siamo troppo convinti che vi siano molti aspetti della verità, corriamo il pericolo di dimenticare la differenza tra vero e falso. Se siamo troppo preoccupati di affermare le diverse forme di libertà, perdiamo di vista l’eterna differenza fra libertà e tirannia” (pag. 291).
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