sabato 12 marzo 2011

Bolscevismo. Uomo-massa. I Demoni di Dostoevskij. René Fülöp-Miller: Il volto del bolscevismo. Milano, V. Bompiani, 1932. (2^ parte)














Molti dei dirigenti bolscevichi che prima della rivoluzione venivano deportati in Siberia dalla polizia zarista, riuscivano spesso a fuggire, anche più di una volta, dalle loro prigioni. Segno che la sorveglianza non era così stretta. E’ mai riuscito qualcuno a fuggire dai gulag sovietici? L’unico episodio che mi viene in mente è questo, raccontato da Evfrosinija Kersnovskaja nel suo libro ‘Quanto vale un uomo’. Due deportati fuggono portandosi dietro, con degli allettamenti, un compagno ancora grassottello che intendono mangiare per sopravvivere. La ferocia disumana di questo gesto mi pare che possa rappresentare bene la condizione infernale del gulag.
La deportazione al tempo degli zar non era neppure lontanamente feroce quanto la prigionia nei campi sovietici. Qui i prigionieri lavoravano in condizioni inumane, fino allo sfinimento e alla morte. Dostoevskij, raccontando nelle 'Memorie da una casa di morti' la sua esperienza di deportato dal 1849 al 1853, scrive che i detenuti, oltre al lavoro forzato, avevano tutti un lavoro personale, senza il quale non avrebbero potuto sopravvivere. Il lavoro personale non era proibito nel carcere, ma erano severamente proibiti gli arnesi. Tuttavia i superiori chiudevano un occhio. "Spesso arrivavano detenuti che non conoscevano alcun mestiere, ma non tardavano a impararne qualcuno dai compagni, così che, scontata la pena, uscivano di là buoni artigiani. C'erano calzolai, sarti, falegnami, fabbri, incisori e decoratori".
Aleksandr Solženicyin ha scritto che il bolscevismo ha mutato il carattere del popolo russo, distruggendo la sua naturale pietà e bontà di cuore. Lo scrittore francese Xavier de Maistre (1763-1852), che passò molti anni in Russia, dove diventò addirittura generale dell'esercito, raccontò nella novella ‘La giovane siberiana’ un fatto realmente accaduto. Una ragazza quindicenne, Prascovia Lopulov, sempre vissuta con i genitori nella deportazione, per affetto filiale sostenuto da una grande fede, partì dalla Siberia per andare a Pietroburgo a parlare con lo zar e ottenere la liberazione del padre. Il viaggio durò qualche anno. Solo la bontà delle persone incontrate consentì alla ragazza di arrivare a Pietroburgo, dove lei, con ‘la disinvoltura dell’innocenza’, riuscì a giungere fino all’imperatore.
Quando i genitori, dopo aver ottenuto la liberazione, incontrarono per la prima volta la figlia, ‘caddero in ginocchio dinanzi a lei’. Che cosa è rimasto di quella pietà popolare? Sarebbe possibile immaginare un viaggio del genere nella Russia sovietica? Ancora Dostoevskij ricorda che, fra le varie fonti di guadagno in carcere (contrabbando, lavoretti da sarto, da barbiere, da suonatore di violino, ecc.), c'era l'elemosina. "Le classi privilegiate non hanno nemmeno l'idea di quante cure prodighino i mercanti, i piccoli borghesi e tutto il popolo minuto ai disgraziati [così venivano chiamati dal popolo gli ergastolani]".
Fülöp-Miller, benché non abbia ancora visto le cose peggiori degli anni Trenta, già può affermare che la ‘giustizia’ bolscevica è di gran lunga peggiore di quella zarista.“Per quanto inadeguata fosse la procedura giudiziaria sotto il vecchio regime, vi era pur sempre un procedimento con assunzione di prove, atto d’accusa, udienze testimoniali e arringhe di difesa; i funzionari bolscevichi invece si sono dispensati da tutte queste formalità, instaurando un regno dell’arbitrio quale il mondo non vedeva da secoli. Così il nuovo padrone della Russia, ‘l’uomo-massa’, venuto per portare alla terra la libertà, ha imparato in breve tempo a usare i mezzi e le arti della tirannide meglio che i più crudeli fra gli zar”.
(continua)

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