sabato 26 febbraio 2011

Scandicci: da borgo agricolo a città; Simone Gheri, sindaco di Scandicci. 7^ p. (prima parte)

 
 
 
 
 
 
Non avevo mai sentito parlare di Scandicci, finché non lessi, nei primi anni Sessanta (abitavo a Roma), alcuni romanzi di Vasco Pratolini, Lo Scialo, Cronache di poveri amanti, e qualche altro. Sullo sfondo di storie avvincenti, Pratolini raccontava come, negli anni fra le due guerre, i bottegai benestanti di Firenze andassero a villeggiare sulle colline di Scandicci e gli ortolani scandiccesi partissero ogni mattina all’alba col carretto per andare a vendere le loro verdure in città. Ho ancora vive nel ricordo le impressioni dei campi assolati della campagna scandiccese e del rumore allegro dei barrocci che andavano di notte a Firenze. Solo più tardi lessi Stampe dell'800 di Aldo Palazzeschi, dove lo scrittore fiorentino ricordava la Scandicci intorno al 1890. Tutta la sua famiglia passava i mesi estivi in una villa di Scandicci Alto. Caricavano infinite suppellettili (perfino la macchina da cucire!) su una diligenza e partivano da San Frediano nel primo pomeriggio per arrivare a Scandicci all’ora di cena. Come fosse allora Scandicci si può immaginare dagli odori che circolavano nelle stanze ampie e fresche della loro villa: “quello del fieno acutissimo, della paglia e del grano nella battitura che in un pulviscolo d’oro veniva eseguita a braccia sull’aia; quello del granturco, delle verdure, le zucche, lo spigo, la cedrina e la menta, le pesche i fichi l’uva le mele, e quello violento del mosto e della svinatura, delle vinacce, di cui la casa diveniva ebbra”. Io non conosco altre testimonianze di come fosse Scandicci prima della ‘catastrofe’ (così, al-Nakba, i palestinesi chiamano la nascita di Israele) edilizia degli anni Sessanta, quando ancora “un davanzale fiorito costituiva oggetto di compiacimento” in tutto il paese, “come un’istituzione cittadina” (scriveva Palazzeschi in un altro luogo). L’iconografia di Scandicci è poverissima: circolano una dozzina di vecchie foto e di vecchie cartoline che rivedo in tutte le pubblicazioni locali. Quarant’anni fa Edoardo Detti, architetto e urbanista fiorentino, scriveva: “Mentre città come Roma sono ricchissime di un patrimonio fotografico (...) la parsimonia di Firenze, quasi una taccagneria, ha fatto perdere tante immagini, ormai irrecuperabili... Nessuno si curò infatti di fotografare le mura prima di distruggerle, né esistono immagini del suolo e dell’ambiente fuori della vecchia città. Infine, ciò che è più colpevole, non esistono che scarsi documenti del paesaggio esterno...” Per farsi un’idea di come fosse Scandicci prima della ‘deflagrazione edilizia’ (l’espressione, questa volta, è di E. Detti), bisogna ricorrere ai ricordi delle ‘nonne’, pubblicate qualche anno fa in un prezioso e delizioso libretto intitolato Quando le donne andavano in bicicletta. Una nonna ricorda: “ Nella bella stagione raggiungevamo Firenze, attraversando distese di campi che correvano davanti ai nostri occhi. Era come percorrere la prateria per arrivare in America”. Il libro di Renato Castaldi, Scandicci e la sua gente, pubblicato quasi venti anni fa, benché parli soprattutto di vicende politiche, contiene anche qualche bello squarcio di paesaggio. Una mattina, Castaldi bambino e la mamma incontrano su un grande prato tagliato di fresco, non lontano dalle ‘Quattro Madonne’, un conoscente, Cencio, intento a raccogliere funghi. “Mia madre si mise a conversare con lui: parlarono di funghi (ne aveva raccolti parecchi)”. Funghi alle ‘Quattro Madonne’! 
        (continua al post successivo)

Nessun commento: