“Tu!”, disse con disprezzo il Verme. “Chi sei tu?”
(L. Carroll, Alice nel paese delle meraviglie)
Un tipo d’italiano che in questi ultimi decenni è diventato rappresentativo è Ugo Marrameo, ex collega di biblioteca, compagno di partito e amico di Piero Innocenti, nonché occasionale collaboratore delle sue rivistine.
Non ha potuto fare la carriera accademica, Marrameo. Dall’odierno teatro della cultura ufficiale, è rimasto chiuso fuori. Ma se solo avesse avuto il biglietto d’ingresso, sarebbe certo arrivato, con la sua pazienza, al palco d’onore. Tuttavia la sua carriera di dirigente nazionale del sindacato di categoria appare quasi più straordinaria di quella dell’illustre accademico suo compagno.
Bisogna aggiungere che Marrameo, non potendo essere un ‘chierico’ di carriera, non ha rinunciato a fare il chierico in libertà, una sorta di guerrigliero di una cultura tutta sua, che ha evidentemente trovato uditori ed estimatori. Da scrittore scanzonato, il sindacalista Marrameo scrive circolari molto originali. Eccone un piccolo saggio:
“Ai lavoratori. Ladies and gentlemen and Lawmen. La ripresa autunnale: a) continua il tormentone sulla premiership del centro-sinistra; b) aumenti delle tariffe; c) benzina e inflazione… la Parietti senza uomo che fa il paio con la Schiffer attrice… la forza della Lazio...ma per noi c’è sempre una MA-RIA coniugata più o meno felicemente con il nostro caro UIL ... (Ssss… dico questo perché una voce – non meglio identificata – ha detto che in questi giorni di calore (sic!) ha visto il Fumarola abbracciare I. I. S. con la scusa – si è difeso il tapino – di levarle l’IRPEF!) (della serie: un po’ di Gossip per l’estate)”.
Che dire? Potrebbe sembrare un risveglio di futurismo, una tiritera alla Pinocchio, ma a me fa solo pensare alla cicalata sportiva di un giornalino di parrocchia, dove tutti si conoscono e ammiccano gli uni agli altri.
Io posso vantarmi di aver conosciuto ‘l’artista da giovane’, cioè Ugo Marrameo quando era ancora un giovanotto di belle speranze.
Alla sezione comunista di Ponte di Mezzo, un quartiere operaio di periferia, avevo conosciuto un uomo molto singolare, Sergio Lagomarsino. Lavorava al sindacato degli elettrici, ma di mestiere era corniciaio e nel tempo libero dipingeva. Aveva allora ventotto anni. Sua moglie Valeria, una ragazza grassottella che viveva all’ombra del marito, conosceva a Roma una giovinetta delicata e sensibile, Barbara, che era fidanzata con uno spavaldo proletario romano.
In occasione di un mio viaggio a Roma, Valeria mi dette un pacco di libri da portare alla sua amica Barbara.
Ci incontrammo una domenica pomeriggio in Piazza Venezia. Lei venne accompagnata dal fidanzato, Marrameo Ugo, un ragazzone sui vent’anni che già aveva il fisico e le maniere grasse di un oste dei Castelli Romani.
Andammo a fare una merenda a base di carciofi “alla giudìa” in una trattoria nei dintorni del Portico d’Ottavia.
Barbara, che vedevo per la prima volta, era una ragazza dal sorriso fragile. Apparteneva ad una famiglia di professionisti agiati. Mi sembrò un tipo di donna dolorosamente insicuro, che credeva probabilmente di aver trovato affetto e certezze entrando a far parte della mitica classe operaia.
Il fidanzato mi sembrava senza studi e, credo, senza mestiere, ma lui, forte di non so quale origine o condizione proletaria, credeva di poter dare lezioni di tattica e di strategia senza bisogno di letture e di approfondimenti. Aveva però il suo bel repertorio di frasi fatte, orecchiate probabilmente nelle sezioni e sui giornali di partito.
In quel mite e primaverile pomeriggio domenicale, nonostante la piacevolezza del luogo, la bontà dei carciofi, la cortesia dovuta a persone appena conosciute ed il fatto che io stesso fossi un giovane comunista con il mito della classe operaia, le banalità di Marrameo riuscirono a dispiacermi completamente.
Non fu un’opinione particolarmente strampalata ad irritarmi. Nel partito comunista di allora non c’era abbastanza spazio per opinioni diametralmente opposte. Mi irritò, piuttosto, l’evidente desiderio di Marrameo di polemizzare comunque, senza avere un’idea davvero diversa dalla mia. Di fronte al tono di sufficienza e all’aggressività delle sue uscite, mi chiedevo perplesso di che cosa stessimo parlando. In realtà lui contrastava in me la mia condizione di studente che faceva studi superiori.
Barbara stava ad ascoltare candidamente estasiata, scambiando la rozzezza del suo eroe per passione barricadiera.
Per molti mesi non rividi né pensai più a quella coppia. Ma all’inizio dell’anno seguente, all’improvviso, Barbara lasciò Roma e la sua famiglia e si trasferì con il fidanzato a casa di Sergio e Valeria. Questi avevano solo una camera da letto e una cucina. Proponemmo alla giovane coppia di separarsi: Barbara avrebbe abitato a casa di Valeriaa e Ugo avrebbe dormito a casa mia. Io accettai di mettere da parte la mia antipatia per Marrameo, nonché il fastidio di condividere la mia casa con un estraneo, perché sentimenti così personali sembravano allora un grave delitto di individualismo borghese. La solidarietà con i “compagni” era considerata un dovere.
Fortunatamente Marrameo, ben più individualista di me, rimase in casa mia solo una notte, da un sabato a una domenica. Io, compagno e padrone di casa compìto fin nei particolari, gli feci trovare al suo risveglio dei pasticcini per fare colazione, ma lui volle tornarsene a dormire da Sergio e Valeria, dove rimase ancora parecchi mesi, incurante dell’imbarazzo che provocava.
Ma intanto stava sorgendo per lui il sol dell’avvenire.
Pochi mesi prima la città era stata inondata dall’acqua dell’Arno. Alla Biblioteca nazionale si stava creando un grande laboratorio per restaurare le migliaia di libri antichi danneggiati e si assumeva personale.
Ugo Marrameo si presentò e divenne operaio restauratore.
(continua al post successivo)
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