lunedì 24 gennaio 2011

Fenomenologia di Walter Veltroni.

Walter Veltroni è tornato sulla scena politica nazionale con un discorso di un'ora tenuto a Torino nella sala gialla del Lingotto. Piero Ottone, scrivendo della condizione generale del paese, ha detto recentemente che il problema in Italia non è Berlusconi con il suo partito; il problema, dice lui, sono gli italiani. Ed io sono d'accordissimo. Trasferendo questo assioma alla dimensione di Veltroni, ciò che stupisce non è la personalità evanescente di un politico che ha già avuto troppa fortuna, considerate le modeste qualità che possiede; sono sbalordito piuttosto per l'autorevolezza e l'insistenza dei suoi sostenitori e panegiristi. Veltroni, poi, non è solo un politico fortunato, è anche un politico che, presso i cosiddetti ceti medi riflessivi, gode di buon successo. La sua popolarità, però, non si fonda su niente di concreto, niente di serio, niente di intellettualmente elevato: solo un po' di giovanilismo, una apparente spregiudicatezza cosmopolitica, una infarinatura di idealismo. All'inizio, io non avevo niente contro Veltroni; anzi lo preferivo di gran lunga al suo antagonista D'Alema, con quell'aspetto frigido di capufficio e quelle pose da statista (“Io faccio politica”). Cominciai a osservare meglio Veltroni quando, dopo aver fatto visita alla tomba di Giuseppe Dossetti, anni fa, dichiarò: “Io divoro i testi del cattolicesimo democratico, che alimentano la mia coscienza”. Ora, si possono divorare i libri gialli, i libri di avventure o di fantascienza, ma testi di ispirazione religiosa, dove si parla di carità, di dolore, di pazienza, di speranza, di solidarietà, come si fa a 'divorarli'? Quel verbo esagerato rivelava l'insincerità di Veltroni e il suo desiderio di far colpo. E il resto della frase era dello stesso livello: “...che alimentano la mia coscienza”. Ma chi è che parla così? Non certo un uomo che abbia meditato su quei testi religiosi; solo una persona superficiale che voglia mettersi in primo piano può esprimersi a quel modo. Successivamente a quella dichiarazione, Veltroni, sindaco di Roma, disse un'altra frase esilarante: “Io ho molto imparato dalle parrocchie”. No, dalle parrocchie non credo, perché esse qualche merito l'hanno pur avuto, e forse l'hanno tuttora, ma avrà imparato piuttosto da qualche prete o persona pretesca. E infatti le melensaggini di Veltroni hanno sempre una ispirazione pretesca (da sindaco di Roma, per es., invitò i cittadini a organizzare feste condominiali per far sbocciare l'armonia fra gli inquilini). Nel giugno del 2007, quando Veltroni si preparava alle primarie, Eugenio Scalfari, il pater familias di Repubblica, scrisse che, con Veltroni leader, il centro-sinistra finalmente “passerebbe dalla politica degli aut-aut a quella degli et-et”, da una politica ideologica ad una pragmatica. Pragmatico Veltroni? Veltroni e il pragmatismo stanno insieme come le parole 'ghiaccio bollente' o 'convergenze parallele': si escludono come le due parti di un ossimoro. Il Veltroni pubblico sembra piuttosto una specie di Zelig: prende in prestito le idee e le parole degli altri e ci aggiunge di suo un sospiro e un po' di enfasi. Le citazioni da Martin Luther King o da Mark Twain potranno sembrare testimonianze di una nobile ispirazione, ma galleggiano su un vuoto politico e culturale. Veltroni è soltanto molto veloce ad assorbire, come una spugna, tutto quello che va di moda nella vacua cultura dei ceti medi riflessivi (per es., si è subito appropriato della parola 'narrazione', nel particolare significato con cui l'aveva usata, per primo, Nichi Vendola). La logica dell'et-et non potrà mai essere il criterio ispiratore del Veltroni politico. Il suo motto potrebbe essere invece solo il pretesco: “Non solo, ma anche”. (Fu il comico Crozza a dire che egli soffriva di ma-anchismo). In occasione delle primarie del 2007, da cui fu scelto come segretario, tutta la sacra famiglia di Repubblica si mobilitò per appoggiarlo: il pater Eugenio Scalfari, i due ragazzacci anticonformisti per dovere d'ufficio (Curzio Maltese e Michele Serra), e lo spirito santo Giorgio Bocca. Quest'ultimo, sul Venerdì del 12 ottobre 2007, si rammaricava di alcune critiche che erano state rivolte a Veltroni, e scriveva, senza paura di esagerare, che la sua unica colpa “è di avere troppe virtù per essere perdonato dagli invidiosi e dai mascalzoni. E' intelligente, onesto, uomo di lettere, oratore eccezionale”. Il fatto che Bocca avesse all'epoca quasi 90 anni non fu per me una circostanza attenuante, ma piuttosto aggravante, perché (essendo sicuro della sua insincerità) non mi aspettavo che un uomo così anziano si dimostrasse tanto arrendevole. Su Repubblica di domenica scorsa 23 gennaio, Eugenio Scalfari ha scritto, per il discorso di Veltroni al Lingotto, una sviolinata esageratissima, dando il massimo credito alle parole più comuni e ordinarie dell'aspirante leader. Bastino queste poche righe: “Ciò che dava più dolore – ha aggiunto Veltroni – è che quella espressione minacciosa sulla 'punizione' dei magistrati veniva pronunciata [dal presidente Berlusconi] davanti alla bandiera tricolore”. In un paese meno devastato del nostro dalla vacuità della televisione, dei giornali e della scuola, in un paese un po' più dotato di senso dell'umorismo, gli osanna di Scalfari per delle petizioni di principio quanto mai generiche, sarebbero forse considerati una canzonatura. E invece no, Scalfari sembra davvero sincero, se si può attribuire un sentimento di sincerità ad un giornalista che è sempre impettito e che scrive sempre in un modo retorico e sostenuto come se facesse un compito in classe. Rimane questa angosciosa domanda: ma perché il potente gruppo di Carlo De Benedetti appoggia Veltroni? Pensa davvero che lui possa risolvere qualche problema del paese? Perché perdere tempo prezioso in futili esperimenti?

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