sabato 25 dicembre 2010

Risorgimento italiano. Mario Costa Cardol, Venga a Napoli, signor conte. Storia poco nota del nostro Risorgimento.


Ho letto questo libro perché ingannato dal sottotitolo, che fa supporre una interpretazione originale del Risorgimento. Costa Cardol ha due idee fisse: una, che il Piemonte preunitario fosse uno staterello solido e civile, onesto, laborioso, ben governato, moderatamente democratico e sensibile al grido di dolore degli altri italiani sfortunatamente non piemontesi; e l'altra, che, conquistando il resto d'Italia, il Piemonte avesse rovinato se stesso. Il libro è un reportage prolisso e, insieme, colpevolmente lacunoso. Contiene troppe citazioni da libri e carteggi (interessanti ma unidirezionali e sostanzialmente superflue), e nessuna analisi delle condizioni degli altri stati preunitari. Del Meridione si ripete solo, fino alla nausea, che era una terra arabo-bizantina, dove regnavano la miseria e la schiavitù morale. Giustino Fortunato era dunque un visionario quando scriveva a P. Villari: "L'Unità d'Italia è stata, purtroppo, la nostra rovina economica". Su un altro punto è importante contestare le opinioni di questo libro: che la disgregazione politica e culturale dell'Italia di oggi derivino da una miscela di garibaldinismo e di spirito borbonico, cioè dal ciarlatanismo di tanta sinistra priva di senso della realtà e dallo spirito clientelare e mafioso che, secondo l'A., teneva in piedi l'antico Sud. I metodi di governo di Cavour e della classe dirigente piemontese (illegalità, corruzione, cinismo, ecc.) non sono mai criticati. Anzi quella politica viene considerata come un buon esempio che ha operato positivamente fino a Giolitti, lo statista che Salvemini definì il 'ministro della malavita'. Nel risvolto di copertina è scritto che lo scrittore F. Nourissier "consigliò polemicamente la lettura a De Gaulle" di un libro di Costa Cardol. 'Polemicamente' credo significhi che Nourissier non era sicuro che il libro potesse piacere al generale. Meno male! Voglio continuare ad ammirare il suo grande spirito classico.
Come tutte le opere senza coerenza interna, il libro di Costa Cardol (fazioso e pieno di omissioni) contiene tuttavia, direi per necessità, dei frammenti di verità, lasciati sparsi e quasi privi di senso. Se si avesse voglia di ricercarli e di ricomporli insieme, ne uscirebbe un quadro molto diverso da quello che l'A. forzatamente disegna. Ma sarebbe un gioco di troppo lenta pazienza, come lo shanghai, e inoltre, vista la mediocrità dell'opera, inutile. Mi limito a qualche osservazione. L'A. soffre per lo "spaventoso bombardamento" di Messina (sett. 1848) ordinato da Ferdinando II di Napoli. "La carneficina, scrive, durò 5 giorni, poi i napoletani sbarcarono mettendo a ferro e a fuoco ciò ch'era rimasto". L'A. racconta "lo sdegno e la commozione" degli ambasciatori francese e britannico. "Scrissero che le ostilità non erano state condotte secondo l'uso delle nazioni civili e che si era mirato allo sterminio degli abitanti inermi e senza difesa". Ma Costa Cardol non dice che pochi mesi prima Vittorio Emanuele, nel far bombardare la città di Genova, che apparteneva al suo regno, fu aiutato proprio dai cannoni inglesi del vascello Vengeance. "La città venne bombardata per 36 ore, senza preavviso, in netta violazione del diritto internazionale" (da Wikipedia). Sul bombardamento di Genova Costa Gardol dà un giudizio sfumato e pilatesco: "Comunque si siano svolti i fatti, fu un episodio sconcertante e sconvolgente". Costa Cardol presta poi la massima fede al politico inglese W. Gladstone, che nel 1851 scrisse una famosa lettera per bollare il Regno delle Due Sicilie come la "negazione di Dio eretta a sistema di governo". L'A., però, non dice che Gladstone, tornato a Napoli nel 1888, ammise di aver mentito e di non aver mai messo piede in nessun carcere delle Due Sicilie. Costa Gardol, pur avendo l'obbligo di sapere che si trattava di menzogne (ne aveva già parlato C. Alianello), osa affermare che Gladstone "era quindi pienamente addentro alle cose italiane".



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