lunedì 27 dicembre 2010

Risorgimento italiano. Giuseppe Buttà, Un viaggio da Boccadifalco a Gaeta: memorie della rivoluzione dal 1860 al 1861. 1985.

 

Giuseppe Buttà (1826-1886), cappellano dell’esercito borbonico, partecipò a tutte le vicende di guerra seguite allo sbarco dei garibaldini, fino al crollo finale del Regno delle Due Sicilie. Questo suo libro di memorie sopravvive faticosamente all’oblio al quale la generale retorica risorgimentale ha condannato la voce dei vinti. Dico ‘faticosamente’ perché mi sembra che anche un lettore simpatizzante come Leonardo Sciascia, nella sua Presentazione, si limiti a cogliere l’aspetto ‘dilettoso’ di questo libro e ne sottovaluti il valore di verità storica. Il ‘diletto’ che Sciascia trova in questa lettura dovrebbe consistere, almeno per me, nella passione e nella rabbia che una cronaca partigiana ma onesta, lucida, argomentata e sarcastica può suscitare in lettori che amano la verità e non sopportano le ingiustizie. Ma Sciascia, usando un termine blando e quasi insignificante come ‘diletto’, dimostra di essere lontano da questi sentimenti di forte partecipazione.
Sul piano storico, poi, credo che Sciascia sia completamente fuori strada quando minimizza il valore del libro con queste osservazioni. “Della seduzione degli ideali unitari e patriottici, dell’aspirazione alla libertà, di tutte le illusioni che si accompagnavano alla volontà di fare l’Italia, della cultura che le suscitava, [Buttà] non sa e non vuole tener conto”, ecc. ecc.
Prima di tutto, questo non è vero alla lettera, perché Buttà sa riconoscere la buona fede e l’onestà di molti giovani garibaldini e confessa di avere avuto in gioventù un periodo di ‘ardore liberalesco’ ispirato dalla lettura di storici italiani e francesi. Ma soprattutto le osservazioni culturaliste di Sciascia sono fuori luogo, perché non c’entrano niente con la materia greve e incontestabilmente reale che il libro racconta. Sarebbe come se ai grandi e preziosi libri di denuncia dello stalinismo, scritti da uomini e donne che hanno conosciuto con il proprio corpo quella inimmaginabile realtà, qualcuno obiettasse: “Ma in queste opere non c’è nessuna eco delle grandi utopie socialiste, nessun riflesso della cultura illuminista! Questi signori ignorano completamente il profondo pensiero di Carlo Marx!”
A queste riflessioni da pallidi letterati a caccia di farfalle, i Giuseppe Buttà, i Solženicyn, i Kravchenko, le Margarete Buber-Neumann e tanti altri scampati da un inferno della storia potrebbero opporre una alzata di spalle di pietoso compatimento.

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