Il libro di Soboul, benché mi abbia richiesto un mese di applicazione, si può
liquidare brevemente: è un manuale noiosissimo che sarebbe stato più utile se
avesse avuto solo la metà o un terzo delle sue 654 pagine. Soboul ha un punto
di vista giacobino e sanculotto che io ora non intendo discutere. L’ho fatto, da
dilettante, commentando in passato altri libri sullo stesso argomento, e lo
farò ancora. Ora mi preme dare un giudizio sulla scrittura di questo storico,
che è essenzialmente amministrativa e notarile come una gazzetta ufficiale, ed
è sorprendentemente astratta. Pur parlando di fatti e di persone straordinarie
e sommamente teatrali, Soboul quasi sempre si limita a enunciazioni di nomi, di
luoghi e di date. La sua non è una storia di persone vere (sulla Vandea, per
esempio, scrive sì e no una paginetta), ma di ceti, di classi e di concetti. Ed
è solo così, parlando genericamente di concetti, di classi e di ceti, e
ignorando la concretezza e il sangue della realtà, che egli può affermare più
facilmente il valore del suo punto di vista.
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