E’ difficile trovare un libro di storia così chiaro, concreto e appassionato. Il suo atto di accusa contro la politica estera americana attuale e degli ultimi decenni è fondato su prove così evidenti e coordinate che anche chi le conosceva già da altre fonti ne rimane sorpreso e indignato. Per vigore e lucidità, i ragionamenti serrati e implacabili dell’autrice mi hanno ricordato “Le origini della Francia contemporanea” del Taine e le riflessioni critiche di Manzoni sulla Rivoluzione francese (lo storico liberaldemocratico Luigi Salvatorelli, con spirito avvocatesco, considerava il piccolo capolavoro manzoniano uno scritto senile senza alcun particolare interesse di pensiero. L'affollata squadra italiana di giornalisti domestici ha avuto illustri predecessori).
Il popolo
americano, scrive l’autrice, è prigioniero dell’illusione di essere ‘la nazione
eccezionale’ chiamata a modellare il mondo in nome dei propri 'valori e ideali'. Tale illusione è mantenuta in vita
da giornali e televisioni, dagli intellettuali delle università e delle
fondazioni, dall’industria di Hollywood, dai politici governativi e dai loro
sponsor. Fra gli sponsor che versano milioni di dollari nelle casse della
Clinton Foundation figurano l’Arabia Saudita, l’oligarca ucraino Viktor Pinchuk,
la famiglia Saban, il Kuwait, Exxon Mobil, gli Amici dell’Arabia Saudita, James
Murdoch, il Qatar, Boeing, Dow, Goldman Sachs, Walmart e gli Emirati Arabi
Uniti, Bank of America, Chevron, Monsanto, Citigroup e l’immancabile Fondazione
Soros. Con amici del genere, l’impegno di Hillary è quello di mettere ‘fuori
gioco’ i rivali e i paesi che non piacciono a questi simpatici donatori. Nella
sua insaziabile ambizione di essere la prima donna eletta presidente degli Stati
Uniti, Hillary Clinton è riuscita a diventare (2016) il candidato preferito del
Partito della Guerra. Ma il problema vero non è costituito dalla Clinton, bensì
dal fatto che il Partito della Guerra esercita un controllo strettissimo sulla
politica statunitense e trova scarsa opposizione nella popolazione. Gli americani
percepiscono a malapena le guerre scatenate dal loro governo come guerre vere.
Non vedono saltare in aria le loro case. I droni stanno eliminando i soldati
combattenti e il conseguente fastidio
rappresentato dai reduci che tornano feriti e traumatizzati. Per la maggior
parte degli americani, le guerre del loro governo sono solo un settore dell’industria
dello spettacolo, qualcosa di cui si sente parlare in televisione e che si vede
solo nei video, ma che non è una questione di vita o di morte. La condanna
conclusiva dell’autrice è chiara e terribile: “Gli Stati Uniti sono un impero
irresponsabile. Devastano paesi e li lasciano in macerie. Le loro azioni sono
sempre più distruttive poiché il loro scopo non è in realtà edificare un
impero, bensì distruggere i loro rivali reali o potenziali o immaginari”.
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