sabato 2 agosto 2025

Antòn Cechov (1860-1904). La steppa (Tutte le novelle, V). Biblioteca universale Rizzoli, 1953


Il volumetto contiene dieci racconti. “La steppa”, lungo quanto gli altri nove messi insieme, è soprattutto un poema lirico in cui gli uomini e le loro attività hanno un ruolo secondario, perché il racconto descrive quasi esclusivamente la bellezza eterna e favolosa di quel paesaggio russo. - Alcuni carri carichi di mercanzia viaggiano lentamente, d’estate, attraverso la steppa. Cechov descrive le figurette di alcuni carrettieri. Panteléi, un vecchio dalla barba bianca, magro e basso di statura, ha un viso scurito dal sole, severo e pensoso. Cammina scalzo accanto all’ultimo carro perché ha i piedi malati, rovinati dal gelo. Dimov, un bel giovanotto robusto e rosso di capelli, è un attaccabrighe. Kiriucha, dalla barba nera, ha una voce e una risata che rivelano una insuperabile stupidità. Poi ci sono Jemeliàn e Vassia. Vassia, assieme a Panteléi, è il personaggio più interessante. Per lui la steppa deserta e bruniccia è sempre piena di vita e di contenuto. Egli vede le volpi che giocano, le lepri che si lavano con le zampette, le otarde che spiegano le ali... Grazie alla sua vista acuta, oltre il mondo che tutti vedevano, Vassia ha anche un altro mondo suo proprio, non accessibile ad alcuno e bellissimo: quando egli guarda e va in estasi, è difficile non invidiarlo. Cechov descrive la steppa con la stessa sensibilità che ha prestato al carrettiere Vassia. - Sui carri c’è anche un bambino di nove anni, Jegòruska, che va in città per entrare al ginnasio. Era partito su uno scortecciato calesse con lo zio mercante e con l’arciprete del paese, ma, dopo un giorno o due di viaggio, è stato affidato ai carrettieri della carovana, diretta anch’essa in città. I pensieri di Jegòruska sono il tenue filo conduttore fra le tante  situazioni che si avvicendano nel corso dei pochi giorni di  viaggio. Il calesse col bambino, lo zio e l’arciprete parte la mattina molto presto, quando l’aria è ancora fresca. “Ma passò poco tempo, la rugiada evaporò, l’aria s’intorpidì, e la steppa delusa prese il suo aspetto accasciato di luglio. L’erba si chinò al suolo, la vita tramortì”. Alla sosta di mezzogiorno, “il tempo si trascinava senza fine, come se anch’esso si fosse intorpidito e fermato. Pareva che dal mattino fossero passati già cento anni”. - Le descrizioni del paesaggio si susseguono a ogni mutamento di luogo e di ora del giorno. “Vai per un’ora o due... Ti capita davanti sul cammino un taciturno  vecchio ‘kurgàn’, o un simulacro di pietra, posto lì Dio sa da chi e quando, senza rumore passa a volo sopra la terra un uccello notturno, e a poco a poco ti vengono alla mente le leggende della steppa, i racconti delle persone incontrate, le fiabe della bambinaia nativa della steppa e tutto ciò che tu stesso hai saputo vedere e penetrare con la tua anima. E allora nel crepitio degli insetti, nelle figure e nei ‘kurgani’ sospetti, nel cielo azzurrino, nel chiaro di luna, nel volo dell’uccello notturno, in tutto ciò che vedi e odi, comincia a parerti di sentire il trionfo della bellezza, la giovinezza, il rigoglio delle forze e una sete appassionata di vita. E nel trionfo della  bellezza, nell’esuberanza della felicità senti una tensione e un’ansia, come se la steppa avesse coscienza che è sola, che la sua ricchezza e la sua ispirazione si perdono invano per il mondo, da nessuno cantate e a nessuno necessarie, e attraverso il gioioso brusìo odi il suo ansioso, disperato richiamo: un cantore! un cantore!”.  Cechov è stato, anche in altri racconti, il sublime cantore del paesaggio della steppa. Riporto un’ultima descrizione: “Nelle sere e notti di luglio più non gridano le quaglie e i re di quaglie, non cantano nei valloncelli boschivi gli usignuoli, non odorano i fiori, ma la steppa è tuttora bellissima e piena di vita. Appena tramonta il sole e la foschia avviluppa la terra, ecco che l’angoscia diurna è obliata, tutto è perdonato, e la steppa respira agevolmente a pieni polmoni. Quasi fosse per il fatto che l’erba non vede nelle tenebre la propria vecchiezza, si leva in essa un giocondo, giovanile crepitio quale non c’è di giorno; il crepitare, il fischiettare, il raspare, i bassi, i tenori e i soprano della steppa, tutto si fonde in un incessante, monotono brusìo, col cui accompagnamento è bello ricordare ed essere malinconici”. - In un paesaggio così sconfinato, eterno e fiabesco, la vita degli uomini sembra qualcosa di trascurabile e di passeggero. E in realtà lo è. Cechov però presta attenzione anche alle piccole vite delle figurette che s’incontrano nella steppa: carrettieri, mercanti, osti, ecclesiastici, cacciatori vaganti, pecorai, donne, contesse, e un gran signore a cavallo che scorrazza per la steppa da padrone, come un cavaliere dell’Apocalisse. E il bambino Jegòruska è seguito, nel suo smarrimento e nella sua solitudine, fin quasi sulla porta del ginnasio della città, dove lo zio mercante e l’arciprete del suo paese lo abbandonano al suo destino.


Nessun commento: