martedì 14 novembre 2023

Jane Austen (1775-1817), L'Abbazia di Northanger. I libri dell'Unità, 1994



Fa impressione che i tanti servi che si aggirano nelle case e attorno ai personaggi di questo romanzo siano solo ombre mute. L’umanità consapevole è costituita qui soltanto da ricchi proprietari terrieri, parroci agiati, avvocati benestanti e dalle loro famiglie. E’ un mondo limitato quello di Jane Austen; costituito solo da quella parte di società economicamente e politicamente attiva alla fine del Settecento. Lei, però, lo indaga con intelligenza profonda e ne dà una rappresentazione di valore universale, nella quale si possono specchiare e riconoscere anche i discendenti di quei lontani servi, allora muti e invisibili, oggi diventati masse acculturate di piccoloborghesi e di proletari. Questo libro della Austen è considerato come una parodia della letteratura gotica, ma a me pare che i divertenti equivoci in cui incorre la giovane Catherine Morland, appassionata lettrice dei romanzi dell’orrore di Ann Radcliffe, siano solo episodi marginali che servono più che altro a definire meglio il carattere della protagonista: una ragazza romantica e facile a esaltarsi, ma che, sotto le sue superficiali infatuazioni, conserva un carattere sensibile, semplice e assennato. Circondata da signore frivole e ciarliere e da cavalieri ignoranti e presuntuosi, Catherine, nonostante abbia solo diciassette anni, non perde mai la consapevolezza di se stessa. L’ipocrisia e la maleducazione delle persone che frequenta vorrebbero a volte condizionarla e trascinarla, ma il retto sentire di Catherine sa resistere. Jane Austen disegna i caratteri, quasi sempre caricaturali, attraverso dialoghi di una meravigliosa naturalezza, che, però, specialmente nella prima parte del libro, hanno il difetto, mi pare, di essere un po' troppo lunghi. Anche se riportati in tutta la loro ridicola e divagante spontaneità, i discorsi delle persone stupide, se durano troppo, non fanno più sorridere. Qualche volta la Austen interviene personalmente a definire un personaggio; per esempio la signora Allen, che fa da chaperon a Catherine. “La signora Allen apparteneva a quella classe numerosa di donne che, quando le si frequenta, non riescono a destare altra emozione che la sorpresa per il fatto che vi sia stato un uomo al mondo cui abbiano potuto piacere abbastanza da farsi sposare. Non era bella, né intelligente, né colta”. Jane Austen non sa fare solo la satira feroce di personaggi inconsistenti; sa anche cogliere gli impercettibili movimenti, sguardi e parole che condizionano i rapporti umani. Per esempio, il fatto che il generale Tilney, pur gentilissimo e compitissimo, metta soggezione a Catherine e susciti un sentimento di disagio anche nei suoi figli, frenando la loro allegria e libertà, è rappresentato in ogni circostanza nel modo più convincente. Nelle conversazioni serie, non caricaturali, mi pare che non manchino frasi acute che hanno il valore di interessanti sentenze morali. Questo suscita meraviglia e ammirazione, se si considera la giovanissima età dell’autrice. E’ nobile e coraggiosa, e persino divertente, la sua difesa dei romanzieri e dei romanzi, che venivano generalmente denigrati e sottovalutati, lamenta la Austen; la quale rifà il verso a qualche suo personaggio. “Non leggo romanzi. E’ raro che sfogli un romanzo. Non credetemi tipo da leggere romanzi. Non c’è male per essere un romanzo”. E la Austen continua: “E’ la solita cantilena. ‘Che cosa leggete, signorina?’, ‘Oh, niente, è solo un romanzo!’, replica la giovinetta, mentre depone il libro con affettata indifferenza, o con una momentanea vergogna. ‘E’ solo Cecilia, o Camilla, o Belinda’. Vale a dire, è solo un’opera in cui si dispiegano le più alte doti dell’intelletto, e nel linguaggio più squisito viene esposta al mondo la più profonda conoscenza della natura umana, la descrizione più felice della sua varietà”. Che profonda coscienza artistica in una scrittrice alle prime armi!

 

 

 

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