domenica 25 aprile 2021

Arthur Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione. Arnoldo Mondadori editore, 2003.

Mi accingo a scalare questa montagna, che ho sempre ammirato (prima da lontano, poi dalle pendici più prossime) con la speranza di avere abbastanza fiato per arrivare sulla vetta. Ma già a leggere le prefazioni dell’autore alle tre edizioni pubblicate durante la sua vita, rimango molto colpito e commosso da quella del 1844 (2. ed.), dove Schopenhauer, che ha 56 anni, racconta come la sua opera, nei venticinque anni trascorsi dalla prima apparizione, sia stata completamente ignorata dai professori di filosofia, che avevano prostituito la loro disciplina “ora per fini pubblici, ora per fini privati”. Che cosa mai può importare la mia spregiudicata filosofia, si chiede Schopenhauer, che non reca profitti e ha come unica stella polare la verità, a dei filosofi cattedratici che procedono con mille riguardi e cautele, tenendo d’occhio il timor di Dio, la volontà del ministero, i precetti della chiesa, i desideri dell’editore, la clientela degli studenti, la buona amicizia dei colleghi, l’andamento della politica quotidiana, la contingente tendenza del pubblico e chissà quante altre cose? Ma “io, afferma Schopenhauer con tranquilla fierezza, senza lasciarmi turbare, son rimasto coerente al corso del mio pensiero. Lo feci per un impulso istintivo, sorretto peraltro dalla certezza che quanto uno ha pensato di vero, o ha portato alla luce dalla tenebra, dovrà pure un giorno o l’altro venir raccolto da un qualsiasi spirito pensante e colpirlo, rallegrarlo e confortarlo: ed è proprio per costui che si parla, come per noi han parlato quelli che ci somigliano e che son diventati il nostro conforto nel deserto della vita”.

Già dalle prefazioni si vede la grandezza della prosa di Schopenhauer (io ne ho una parziale esperienza per aver letto “Parerga e Paralipomena”). Il grande studioso Giorgio Colli ne ha fatto l’elogio più bello: “La sua esposizione filosofica non teme confronti negli ultimi secoli. Profonda, rigorosa, limpida, spiritosa, varia, brillante. Il suo stile non solo è raffinato e ampio, equilibrato e concreto, ma riscalda, consola nella solitudine, è intimo, premuroso verso chi vuol capire”.

Già nella sua tesi di dottorato, del 1813, Schopenhauer aveva scritto: “Il vero filosofo cercherà dappertutto luce e perspicuità, e si sforzerà sempre di rassomigliare non a un torrente torbido e impetuoso, bensì a un lago svizzero, che, per la sua calma e nonostante la sua profondità, abbia grande limpidezza, la quale soltanto, appunto, rende visibile la profondità”.

 


 

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