domenica 18 ottobre 2020

Elena Kožina, Attraverso la steppa in fiamme. Carlo Signorelli, 2003. (Seconda Parte)


 

Quando iniziò l’assedio di Leningrado, le famiglie degli ufficiali al fronte venivano portate nelle zone libere in aereo. Però solo gli stretti famigliari avevano questa possibilità. La nonna doveva rimanere nella città assediata. “La mamma rispose [al funzionario governativo] che non saremmo partiti. O tutti o nessuno”.

Poco dopo l’arrivo di Elena e della sua famigli a Kuščevka (nella primavera o all’inizio dell’estate del 1942), nei giorni che precedettero l’arrivo dei tedeschi regnavano  nel villaggio il panico e una confusione selvaggia. I capi di partito portavano via dalle loro case opulente mobili, enormi borse di lenzuola e vestiti, pesanti scatole. Delle automobili venivano caricate di lampadari impacchettati,  di cuscini e materassi di piume.

La Kožina non è tenera con i comunisti. Tornata a Leningrado, la mamma subì parecchi soprusi. Le fu negato il permesso di residenza perché aveva vissuto in una zona occupata dai tedeschi. “Alla fine, solo perché mio padre era al fronte, ci fu permesso di stare a Leningrado. Ma alla mamma fu proibito per sempre di fare l’insegnante. La gente che era vissuta in territorio occupato perse l’accesso a molte carriere, prima fra tutte <l’istruzione delle generazioni nascenti>”. E quando la vita torna normale, dopo la guerra, alla Kožina non sfugge che “i licei stavano diventando campi di addestramento per i futuri cittadini sovietici, obbedienti e subordinati”.

Nel villaggio di Kuščevka, durante i mesi dell’occupazione tedesca, la mamma di Elena faceva scuola alla figlia e ad alcuni altri ragazzi. Mancavano i quaderni; la carta era preziosa. “Usavamo i margini di vecchi giornali o calendari, ma in giro non ce n’erano molti... Se il tempo lo permetteva,  scrivevamo sulla sabbia con un bastoncino”. Leggevano, così giovani, i grandi autori russi dell’Ottocento. “Fu Gogol a insegnarci che le cose di tutti i giorni, viste centinaia di volte, potevano contenere misteri profondi e celare l’invisibile”.

Questa operetta non è solo un libro che rievoca fatti e sentimenti di cui sarebbe un tradimento, afferma Elena Kožina, lasciar morire il ricordo. E’ anche, almeno in embrione, un cosiddetto romanzo di formazione che si conclude con una meravigliosa visione e una straordinaria consapevolezza che illuminano l’animo dell’autrice, anche se ancora poco più che bambina.

Una sera la mamma, che era andata nella stalla, rientra in casa e invita la figlia e i ragazzi che dividevano il loro stesso alloggio ad uscire all’aperto.  “Sta succedendo qualcosa di incredibile nella steppa, non potete mettervi a dormire. Dovete uscire per rendervene conto. Non si possono perdere cose come questa, andiamo!”. “Per la prima volta, udii la steppa di notte... Tutto risuonava e mormorava... La vastità che adoravo di giorno non era nulla in confronto alla notte infinita, quando il cielo si apriva con le sue costellazioni... Da dove veniva quella libertà, quella beatitudine?... Immersi in quella felicità contagiosa non eravamo più gli stessi di prima... In quella grandezza mi sentii crescere. Una parte della mia vita terminava senza dolore e un’altra brillava in lontananza... Per molti anni avrei bevuto da questo ricordo come da un fiume. Fu una specie di iniziazione, la prima e la più importante. Ricominciai a vivere... Apparentemente la vita non era cambiata, ma i colori erano diventati vivaci e luminosi, tutto respirava con maggiore intensità... Dentro mi si risvegliò una foga inarrestabile”.  Questo impeto fisico, intellettuale e spirituale, appena le capita fra le mani un libro di storia dell’arte, produce il miracolo. “La gioia che gli archi, i palazzi dell’Alhambra e le cattedrali gotiche suscitavano in me era così forte che la sento ancora oggi”. La ‘Storia mondiale delle arti’ di Gnedič aveva “il potere di creare nuovi orizzonti, di portarmi così in alto da rendere i problemi meno schiaccianti. Diventavo forte e sicura. Una potenza misteriosa mi sosteneva... Scorrendo le meravigliose illustrazioni di Gnedič sentivo che tutto mi apparteneva, le statue di marmo, la cattedrale gotica e il dipinto della Madonna addolorata. L’ammirazione che nutrivo per loro li rendeva miei... Ciò che trovavo straordinario era che la cupa tristezza ispiratrice di quelle opere potesse illuminare l’oscurità di chi le avvicinava”.

Sono parole stupendamente appropriate per descrivere il miracolo dell’amore per la bellezza. Elena Kožina ricorda la frase di Dostoevskij: “La bellezza salverà il mondo”.

Io penso che non lo salverà, ma lo rende almeno interessante e sopportabile.

 

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