La storia dolorosa di Jeanne, dall'uscita dal convento a diciassette anni fino alla 'vecchiaia' dei cinquanta, benché racchiusa in appena duecento pagine, sembra lunghissima e, direi anche, prolissa e discontinua. Sembra che il romanzo contenga due storie, e che la seconda sia solo superficialmente il seguito della prima. Le qualità artistiche di Maupassant, qui al primo romanzo, sono grandi sia nel caratterizzare i personaggi e gli ambienti sociali che nel descrivere i paesaggi; però alcune situazioni e sentimenti si spingono fino al livello del patologico e del grottesco, e questo priva il racconto del profondo equilibrio che appartiene a un'opera compiuta. Jeanne veglia il cadavere della mamma e, presa dai ricordi, si mette a leggere vecchie lettere di famiglia che la madre conservava in una cassettina di 'reliquie' alla quale periodicamente tornava. Così Jeanne scopre, da lettere appassionatamente erotiche, che la mamma adorata aveva tradito il marito con un focoso amante. Questa scena, per esempio, seppur verosimile, mi è sembrata, sul piano artistico, nel contesto di quella storia, una intrusione di cattivo gusto. Inoltre alcuni personaggi non si sviluppano in modo coerente, ma nel corso degli anni sembrano aver cambiato natura. La Jeanne madre disperatamente possessiva della seconda parte del romanzo sembra un'altra persona rispetto alla Jeanne ragazza e sposa, sensibile, orgogliosa, sprezzante della mediocrità. E anche Rosalie, la domestica, che ritorna verso la fine del racconto come un angelo della Provvidenza a salvare con generosa energia la sua antica padrona dalla miseria e dalla disperazione, è tutt'altra persona dalla ragazzetta fragile, piuttosto vile e ignobile della prima parte. Il quasi lieto fine che sopraggiunge repentinamente appare, poi, del tutto posticcio. Il figlio di Jeanne, ingrato e mascalzone, che con i suoi debiti e imprese fallimentari ha causato la morte del nonno e la rovina finanziaria della famiglia, che da più di sette anni non fa visita alla madre, all'improvviso sembra ravveduto: affida a Jeanne la sua figliolina rimasta senza mamma e promette di tornare a vivere con lei. La frase di Rosalie che conclude il romanzo ("La vita non è mai così buona né così cattiva come si crede") è una frase che può avere significato sulla bocca di una umile contadina rassegnata a una esistenza amara e faticosa, ma è banale e inadeguata come commento a una vita come quella di Jeanne, che ha visto distrutti in modo tragico tutti i sogni e le aspirazioni in cui da ragazza, bella ricca gioiosa, aveva legittimamente sperato. Immagino che siano sfasature di un grande scrittore ancora giovane.
martedì 18 agosto 2020
Guy de Maupassant, Une vie. Paris, Garnier-Flammarion, [1974?].
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento