Quest’opera racconta le imprese dei Persiani fino al 478 a. C. (anno in cui Erodoto era appena un bambino). Descrive il consolidamento e l’ampliamento dell’impero persiano in Asia, le imprese contro l’Egitto e contro gli Sciti, infine le invasioni per sottomettere l’intera Grecia. Il racconto di Erodoto è ricco di divagazioni: da una città, da un personaggio anche minimo, da un episodio anche secondario, Erodoto risale indietro nel tempo e allarga il quadro degli avvenimenti. E’ come se su quasi ogni circostanza l’interesse dell’autore cadesse come un sasso nello stagno, provocando, come cerchi sull’acqua, uno straordinario ampliamento del campo su cui dirigere l’attenzione. Ed è meraviglioso che Erodoto non perda mai il filo del racconto.
A metà lettura mi sono convinto che una delle cose più mirabili di quest’opera è la sua architettura, complessa eppure, mi sembra, perfetta. Non si può non ammirare la mente che l’ha concepita. Tanto più che in questo libro Erodoto ha raccolto tutto (o quasi tutto) quello che si poteva conoscere del mondo antico nel quinto secolo prima di Cristo: popoli, usanze, persone, nomi, fatti, luoghi, paesaggi, prodotti della terra, animali.
Il suo modo di raccontare è semplice e chiaro. Non commenta le azioni crudelissime che descrive, se non con rari aggettivi. Il suo atteggiamento è umano ma sereno, sobrio, senza alcuna enfasi. Tuttavia non è insensibile. Il racconto degli scontri fondamentali fra Greci e Persiani è serrato e avvincente. E le tante storie di amori, di gelosie, di potere, di rivalità, di intrighi sembrano racconti delle Mille e una notte. Anche i discorsi sono molto belli, moderni e pieni di verità. Gli araldi mandati dagli Ateniesi in tutte le città greche per cercare alleati parlano come potrebbero parlare oggi. I capi che discutono fra loro, l’imperatore che parla con i suoi consiglieri fanno discorsi pieni di senso e di dignità. La mia impressione è che nel mondo descritto da queste storie le persone veramente infami siano poche e che anche coloro che compiono atti crudeli o addirittura disumani non perdano per questo una certa nobiltà. Del resto l’opera di Erodoto è scritta per esaltare, nelle forme sobrie a cui ho accennato, il coraggio e l’eroismo dei soldati: greci, persiani, sciti.
Egli scrive “affinché gli avvenimenti umani con il tempo non si dissolvano nella dimenticanza e le imprese grandi e meravigliose, compiute tanto dai Greci che dai Barbari, non rimangano senza gloria”.
In una annotazione brevissima Erodoto scrive: “gli altri popoli del Peloponneso, che sentivano la bellezza di un destino più glorioso, e alcuni, anche solo al vedere che gli Spartani uscivano in campo, ritennero cosa indegna restarsene indietro mentre i Lacedemoni andavano alla guerra”.
Sentimenti del mondo antico, questi, che il mondo moderno ha completamente perduto.
Tuttavia la diversità fra antichi e moderni non è così
immensa come potrebbe apparire. Certo, nel campo delle scienze e della
tecnologia, poiché i progressi si sono inevitabilmente sommati gli uni agli
altri, il mondo di oggi è un altro mondo rispetto all’antico; ma nel campo dei sentimenti
morali ed estetici, della cultura e persino sul piano semplicemente intellettuale
i progressi, i successi, i trionfi non si sono sommati, non si sono aggiunti gli uni
agli altri per arrivare a traguardi alti e stabili. Accade anzi il contrario:
che dopo ogni periodo di declino, dopo
ogni caduta, si ricomincia più o meno da zero; capita persino, ironicamente, che anche dopo un periodo di splendore artistico e culturale, ci siano una reazione e un rigetto che riportano indietro i sentimenti comuni e il comune senso della realtà.
Nell’opera di Erodoto sono narrate anche le azioni di uomini e di gruppi di comando e di potere i quali, pur senza essere forse personalmente degli infami, agiscono ispirati da motivi eterni che sono tuttora validissimi e, direi anzi, così diffusi da essere ormai gli unici a spingere gli uomini all'azione politica: il mediocre opportunismo, l’ambizione inconfessabile, e quindi l'insincerità e la mistificazione.
Gli Sciti, invasi dal re persiano Dario, adottano la tattica che adotteranno i Russi con Napoleone e con Hitler: “ritirarsi a poco a poco, trascinare con sé gli armenti, colmare i pozzi e le sorgenti per cui venissero a passare, sradicare l’erba che cresceva dal terreno”. Quando Dario decide di ritirarsi lasciando indietro i Greci d’Asia, suoi vassalli e alleati, gli Sciti li invitano a disertare e a riacquistare la libertà.
“L’ateniese Milziade, comandante e tiranno degli abitanti del Chersoneso sull’Ellesponto, era del parere di dare ascolto agli Sciti e assicurare la libertà alla Ionia; ma di parere contrario era Istieo di Mileto, il quale faceva notare che in quel momento ciascuno di loro era signore della propria città in grazia di Dario; ma se la potenza di Dario fosse stata annientata [...] ogni città avrebbe preferito reggersi democraticamente, piuttosto che farsi dominare da un tiranno. Mentre Istieo esponeva questo punto di vista, tutti si erano bentosto orientati verso di esso, mentre prima erano propensi ad ascoltare Milziade”.
Come si vede, essere servi pur di contare qualcosa è un sentimento antico. A quel tempo, però, come risulta dall’opera di Erodoto, era radicato e diffuso soprattutto l’amore per la libertà, e i politici servili non erano la maggioranza, come oggi. E dunque, quali progressi hanno fatto, da quel tempo remoto, la morale e la cultura? La cultura è aumentata solo di volume, o di quantità, nel senso del numero delle opere, ma lo spirito umano non è progredito, anzi sembra molto più meschino che nel tempo antico.
Un altro esempio antico di mistificazione, che potrebbe essere modernissimo, è questo. Aristagora, tiranno di Mileto, anche lui vassallo di Dario, ha paura che la signoria sulla città gli venga tolta. “Pieno di timori, dunque, per tutti questi motivi, aveva in animo di ribellarsi [...] In primo luogo, rinunciando, a parole, alla tirannide, instaurò a Mileto l’uguaglianza dei diritti, affinché spontaneamente i cittadini si ribellassero insieme con lui. Poi estese anche al resto della Ionia questo stesso regime”, scacciando parecchi tiranni.
Si può immaginare una mistificazione più attuale?
Conoscere la storia è utile ai professori ed è importante solo per gli spiriti riflessivi, ma ai politici non serve. Costoro sono spinti oggi da motivi per lo più abietti, come una misera vanità, una ambizione senza grandezza, il gusto di comandare, la ricerca di privilegi e di una vita comoda, il servilismo stesso e persino l’inettitudine e il non saper fare niente: tutte caratteristiche che non hanno alcun bisogno di essere illuminate dalla storia, anzi debbono necessariamente ignorarla, e che purtroppo sono pienamente sufficienti alle loro carriere.
La traduzione di Luigi Annibaletto mi sembra bella e chiara, come quella che aveva fatto di Tucidide.
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