lunedì 22 giugno 2020

Honoré de Balzac, Il colonnello Chabert e Un episodio ai tempi del Terrore. Biblioteca universale Rizzoli, 1959.


L’eroico colonnello Chabert, creduto morto nella battaglia di Eylau combattendo contro i russi (febbraio 1807), torna a Parigi dopo molti anni di vagabondaggi. Ha difficoltà a farsi riconoscere dalla moglie, che, essendosi risposata e appropriata del suo patrimonio, finge di considerarlo un impostore. L’abile avvocato Derville, che aiuta con generosità il povero reduce, mette la donna, ora contessa Ferraud, nella condizione di non poter più disconoscere il primo marito e di dovergli almeno restituire una parte del patrimonio. La contessa, sentendo che Chabert è ancora innamorato di lei, si atteggia a vittima infelice, sicura della grande nobiltà d’animo del marito, e cerca di indurlo a scomparire e a firmare una rinuncia legale a ogni pretesa. Commosso dalla pena della donna, Chabert sta per cedere, quando, per puro caso, scopre che la moglie, mossa da egoismo, ha solo simulato interesse e gratitudine per lui e che vorrebbe invece farlo rinchiudere in manicomio. Per disgusto e disprezzo, il poveruomo abbandona di fatto il suo patrimonio nelle mani della moglie e torna ad una vita di vagabondaggi, che si concluderà in un ospizio.
Il racconto è compatto e scolpito con mano maestra. Il realismo di Balzac è feroce e privo di illusioni. Irriso e misconosciuto da tutti, il colonnello Chabert, uomo di “selvatico pudore” e di “severa probità”, sente che “il mondo sociale e quello giudiziario gli pesavano sul petto come un incubo”. Per raccontare all’avvocato Derville perché avesse rinunciato a contrattare con la moglie una giusta rendita, il colonnello afferma: “Sono stato improvvisamente colpito da una malattia, il disgusto dell’umanità [...] Infine è meglio avere l’oro nei propri sentimenti che sui vestiti”.
La graziosa contessa Ferraud, già moglie del colonnello, capace di mille moine e di simulare i sentimenti più teneri, ma arida, egoista e senza scrupoli, è un personaggio indimenticabile, benché tratteggiato brevemente, perché è assolutamente vero. Chi non ha conosciuto donne così temibili? Una sorella, una zia, una vicina di casa, una collega di lavoro...
Alla fine del racconto, l’avvocato Derville lascia la sua attività con queste parole: “Tutti gli orrori che i romanzieri credono di inventare sono sempre ben poco, di fronte alla verità [...] Io vado a vivere in campagna con mia moglie. Parigi mi fa orrore”.
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“Un episodio ai tempi del Terrore” è un breve racconto di appena una ventina di pagine, con un finale a sorpresa come un romanzo d’appendice. Un prete e due suore anziane, di origine aristocratica, che si nascondono alla Rivoluzione, celebrano nel loro fatiscente appartamento pieno di umidità e di crepe la santa messa. Per questo sacro rito usano le povere stoviglie domestiche. “L’acqua e il vino, destinati al santo sacrificio, erano contenuti in due bicchieri degni della più infima osteria [...] Un piatto qualunque era preparato per la abluzione delle mani innocenti e pure di sangue. Tutto era immenso, ma piccolo; povero, ma nobile, profano e santo nello stesso tempo”. I cuori dei partecipanti sono puri e sereni, pieni di calma fiducia in Dio. Anche la prosa di Balzac è pacata come quella di un padre della Chiesa che descriva la vita dei primi cristiani nelle catacombe. Il realismo umanistico di Balzac mostra il pentimento dell’uomo che ghigliottinò Luigi XVI (e che ora chiede al sacerdote di celebrare una messa funebre in memoria del re) e la profonda vigliaccheria della coppia di pasticcieri che vende le ostie per le sacre funzioni. Forse la viltà dei pasticcieri, che si rivelano spaventatissimi subito dopo una dimostrazione di banale benevolenza, è quasi più sorprendente del pentimento del boia.


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