lunedì 29 luglio 2019

La "coscienza di classe" non c'è più: c'è il radical chic.


Al Bar Elena, sulla piazzetta di Vidiciatico affollata di villeggianti, qualche settimana fa una coppia ha attirato la mia attenzione. Lui era un ometto magro,  con i capelli scarruffati come quelli di Woody Allen, ma molto composto e diritto, una barba di tre o quattro giorni, occhietti pungenti, occhialetti tondi, una leggera giacchetta estiva sopra una camicia regolare e, nonostante il caldo, un foulard attorno al collo. Teneva sottobraccio un fascio di giornali: la Repubblica, il Manifesto e il Fatto Quotidiano. Mentre pagava la colazione, notai che aveva dei gesti molto brevi e misurati e che le sue mani avevano dei pollici lunghi e incurvati verso l’alto, ad arco. L’aspetto complessivo era quello di un insegnante; ma quelle mani, che non si muovevano con una libertà naturale ma con una, direi, rigida eleganza, erano antipatiche.
La compagna, che sembrava molto più giovane, doveva avere 45/50 anni. Era piuttosto in carne, portava dei sandali e una catenina ad una caviglia, e aveva lo sguardo mansueto di una pecora. Una gran massa di capelli le arrivava fin sotto le spalle e un ampio scialle traforato la copriva come un poncho.
Appena li ho visti,  ho riconosciuto subito i personaggi convenzionali che rappresentavano. Avrei potuto chiamarli per nome, ricordando coppie simili conosciute in passato: Leonardo e Isabella, oppure Roberto e Teresa, o anche Sergio e Valeria. Rivedendoli, i giorni successivi, seduti al tavolino, fuori del bar, sempre uguali, distaccati e indifferenti alla gente intorno, raccogliere  golosamente la schiuma del cappuccino dal fondo della tazza vuota, con il giornale sotto gli occhi, ho provato nausea per la prevedibilità dei loro pensieri.
La crisi della sinistra viene da molto lontano, è cominciata tanto tempo fa, ma i radical chic si sono diffusi e moltiplicati solo negli ultimi decenni. Quando io ero ragazzo, i comunisti avevano già cominciato da un pezzo a dimenticare che il loro primo compito era di interpretare i fatti della realtà restando fedeli a dei grandi principi morali, e vivevano di belle parole. Ma questo snaturamento non sembrava allora così scandaloso, perché nel clima del dopoguerra e della ricostruzione era un fenomeno ancora poco visibile, ben nascosto dalla propaganda e dalla retorica di partito, e poi perché c’erano ancora momenti di vera lotta di classe. Le strutture della società, ancora vecchie e autoritarie, davano senso allo spirito antagonistico che ci animava. Non aveva ancora trionfato quella scialba ideologia democratica che è oggi dilagante. Il radical chic di massa è nato proprio quando è prevalsa ed è diventata universale una fiacca rivendicazione di generica democrazia, avvolta in una nuvola di facili mistificazioni. E’ andata smarrita la conoscenza di chi sia il vero nemico,  e si è perduta, naturalmente, anche la voglia di lottare. Il radical chic non è disposto a fare sacrifici, a esporsi e correre dei rischi personali per le idee che dice di professare. Aderisce passivamente alle mistificazioni che gli sembrano più democratiche, e queste, assieme allo stile del suo abbigliamento e a qualche altro  gesto o comportamento eretti a simbolo, bastano ad appagare il suo sentimento di superiore diversità.

Nessun commento: