L’onorevole Roberto Fico, da quando siede sullo
scranno più alto della Camera dei deputati, mi pare che assomigli sempre di più
al marchesino Eufemio descritto da Giuseppe Gioachino Belli, il quale, ‘ritto all’ombra feudal d’un baldacchino’,
viene snocciolando con vivo compiacimento verità ovvie ed errori madornali. Per
il marchesino, che deve dare 'il suo gran saggio di toscan, di francese e di latino', Rome è una città simile a Roma, jambon in francese vuol dire prosciutto e
paggio e maggio si scrivono con due g, proprio come cuggino.
Nelle sue recenti esternazioni, con la stessa disinvoltura del dotto Eufemio, Fico ha parlato di attività
“sotto l’egidia [!] dell’Onu” e di immigrazione come di una “problematica
globale”. Le persone colte uscite dalla scuola di oggi (ma anche i semicolti e i semianalfabeti di ultima generazione) ormai non parlano più di problemi e di metodi, ma solo di
problematiche e di metodologie. ‘Problema’ è una parola che a loro deve
sembrare troppo semplice; invece ‘problematica’ è una bella parola cerebrale che presuppone una vasta conoscenza delle questioni. Peccato, però, che queste parole pregnanti
quando sono usate a sproposito diventino ridicole.
Da sotto il suo baldacchino il marchesino Eufemio,
così sicuro di sé, parla “con ferma voce e signoril coraggio”; ma qui si
manifesta una imbarazzante problematica per il presidente Fico: la sua vocetta nasale non è all’altezza del coraggio che dimostra quando incede impettito.
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