Sergio Saviane, feroce critico televisivo non dimenticato (a differenza dello
stucchevole e troppo intelligente Beniamino Placido), una volta scrisse che il
regista Giorgio Strehler lavorava “attaccato alle palle di Brecht”. In realtà,
per una ventina d’anni, più o meno dalla metà degli anni Sessanta alla metà
degli anni Ottanta, giovani e meno giovani di sinistra stavamo tutti attaccati
alle palle di Brecht, e i suoi versi erano recitati come se avessero avuto il
significato profondo e misterioso di versetti biblici. Nella società di oggi,
così polverizzata, la moda di Bertolt Brecht è passata e i suoi versi vengono
forse ancora citati solo in piccole conventicole.
Le lettere di Ernesto Rossi e dei fratelli Rosselli mi hanno ora riportato
alla mente una famosa frase di Brecht: “Beato il popolo che non ha bisogno di
eroi”. Però il coraggio e la grandezza
intellettuale e morale di eroi antifascisti come Rossi e i fratelli Rosselli mi
hanno fatto capire che la frase di Brecht è una stupidaggine, il modo più
piatto e superficiale di auspicare la pace. Anche se fosse possibile immaginare
una condizione di pace perpetua, perché non si
trasformi in una pace da cimitero, ci sarà sempre bisogno di eroi per combattere la
mediocrità, l’egoismo, la volgarità, la bruttezza, la corruzione. Questi eroi
dovrebbero essere l’ossatura morale di un paese sano. Ma l’Italia non è un
paese sano, ed è per questo che figure così importanti ed ‘esplosive’ sono
state chiuse in archivio e dimenticate e il loro posto è stato preso da divi,
da vuoti personaggi della televisione, del cinema, dello sport.
Il libro di Ernesto Rossi, raccogliendo soltanto lettere sue, è più
compatto dell’epistolario dei Rosselli. Mi pare che abbia anche qualità
superiori di stile, di arguzia, di riflessione morale e, a tratti, di
sentimento poetico. Mi rendo però conto che il paragone fra i due libri è quasi
impossibile, ed io lo uso solo come pretesto per dire qualche mia impressione
sull’uno e sull’altro. Le lettere dei fratelli Rosselli non sono scritte dal
carcere, perciò non possono avere l’intensità di quelle di Rossi.
Un aspetto irritante dei Rosselli, compresa la madre Amelia, è il gergo lezioso
dei loro rapporti, del modo e dei nomignoli con cui si rivolgono l’uno
all’altro. Tuttavia, superato il fastidio di questa sorprendente leziosaggine,
bisogna riconoscere, con rispetto e ammirazione, che nei momenti critici i loro
rapporti reciproci trovano una espressione seria e altamente morale pienamente
all’altezza del drammatico periodo storico in cui vivevano.
Dopo l’assassinio dei due Rosselli, in Francia, nel giugno del 1937, dal
carcere di Regina Coeli, dove erano detenuti, Ernesto Rossi, Riccardo Bauer,
Vittorio Foa e Massimo Mila scrissero su una cartina da sigaretta un messaggio
di cordoglio che inviarono clandestinamente ad Amelia Rosselli:
“Il compianto per i fratelli caduti ci avvicina a lei come a una madre”.
Sembra un verso di un poema antico: l'Iliade, l’Eneide, l'Odissea.
Nessun commento:
Posta un commento