martedì 25 settembre 2018

Ernesto Rossi, Elogio della galera. Lettere 1930 - 1943. Laterza, 1968. // I Rosselli. Epistolario familiare di Carlo, Nello, Amelia Rosselli, 1914 - 1937. Mondadori, 1997.


Sergio Saviane, feroce critico televisivo non dimenticato (a differenza dello stucchevole e troppo intelligente Beniamino Placido), una volta scrisse che il regista Giorgio Strehler lavorava “attaccato alle palle di Brecht”. In realtà, per una ventina d’anni, più o meno dalla metà degli anni Sessanta alla metà degli anni Ottanta, giovani e meno giovani di sinistra stavamo tutti attaccati alle palle di Brecht, e i suoi versi erano recitati come se avessero avuto il significato profondo e misterioso di versetti biblici. Nella società di oggi, così polverizzata, la moda di Bertolt Brecht è passata e i suoi versi vengono forse ancora citati solo in piccole conventicole.
Le lettere di Ernesto Rossi e dei fratelli Rosselli mi hanno ora riportato alla mente una famosa frase di Brecht: “Beato il popolo che non ha bisogno di eroi”. Però il coraggio e la  grandezza intellettuale e morale di eroi antifascisti come Rossi e i fratelli Rosselli mi hanno fatto capire che la frase di Brecht è una stupidaggine, il modo più piatto e superficiale di auspicare la pace. Anche se fosse possibile immaginare una condizione di pace perpetua, perché non si  trasformi in una pace da cimitero, ci sarà sempre bisogno di eroi per combattere la mediocrità, l’egoismo, la volgarità, la bruttezza, la corruzione. Questi eroi dovrebbero essere l’ossatura morale di un paese sano. Ma l’Italia non è un paese sano, ed è per questo che figure così importanti ed ‘esplosive’ sono state chiuse in archivio e dimenticate e il loro posto è stato preso da divi, da vuoti personaggi della televisione, del cinema, dello sport.
Il libro di Ernesto Rossi, raccogliendo soltanto lettere sue, è più compatto dell’epistolario dei Rosselli. Mi pare che abbia anche qualità superiori di stile, di arguzia, di riflessione morale e, a tratti, di sentimento poetico. Mi rendo però conto che il paragone fra i due libri è quasi impossibile, ed io lo uso solo come pretesto per dire qualche mia impressione sull’uno e sull’altro. Le lettere dei fratelli Rosselli non sono scritte dal carcere, perciò non possono avere l’intensità di quelle di Rossi.
Un aspetto irritante dei Rosselli, compresa la madre Amelia, è il gergo lezioso dei loro rapporti, del modo e dei nomignoli con cui si rivolgono l’uno all’altro. Tuttavia, superato il fastidio di questa sorprendente leziosaggine, bisogna riconoscere, con rispetto e ammirazione, che nei momenti critici i loro rapporti reciproci trovano una espressione seria e altamente morale pienamente all’altezza del drammatico periodo storico in cui vivevano.   
Dopo l’assassinio dei due Rosselli, in Francia, nel giugno del 1937, dal carcere di Regina Coeli, dove erano detenuti, Ernesto Rossi, Riccardo Bauer, Vittorio Foa e Massimo Mila scrissero su una cartina da sigaretta un messaggio di cordoglio che inviarono clandestinamente ad Amelia Rosselli:
“Il compianto per i fratelli caduti ci avvicina a lei come a una madre”.
Sembra un verso di un poema antico: l'Iliade, l’Eneide, l'Odissea.

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