lunedì 10 febbraio 2025

Angela Pellicciari. I panni sporchi dei Mille. L'invasione del Regno delle Due Sicilie nelle testimonianze di Giuseppe La Farina, Carlo Pellion di Persano e Pier Carlo Boggio. Cantagalli, 2017


 Il libro di Angela Pellicciari è diviso in tre parti. La prima è costituita da alcune significative lettere di Giuseppe La Farina, indirizzate per lo più a Cavour. Seguono pagine estratte dal diario dell’ammiraglio Carlo Pellion di Persano. Un pamphlet scritto dal deputato piemontese Pier Carlo Boggio alla fine di settembre del 1860, intitolato “Cavour o Garibaldi?” costituisce la terza parte. Tutti e tre questi personaggi erano devotissimi al re Vittorio Emanuele e a Cavour suo primo ministro. La Farina e l’ammiraglio Persano ebbero incarichi di grande rilievo sia nella preparazione che nel corso della spedizione dei Mille. L’intento della Pellicciari, che ha scritto libri importanti sull’opportunismo anticattolico della politica di Cavour, è di mostrare, attraverso le stesse testimonianze di sostenitori e fiancheggiatori di quella spedizione, quanto fosse retorico e fasullo l’eroismo dell’impresa garibaldina  e come essa abbia potuto essere realizzata solo grazie alla corruzione di grandissima parte degli ufficiali borbonici, a intrighi e subdole azioni, all’appoggio di Francia e Inghilterra e, infine, al risolutivo e massiccio intervento dell’esercito regolare piemontese. Cavour aveva solennemente dichiarato alla Camera (15 gennaio 1857) la lealtà del suo programma e la limpidezza delle sue intenzioni: “Le nostre parole, la nostra politica non tendono ad eccitare od appoggiare in Italia moti incomposti, vani ed insensati tentativi rivoluzionari. Noi intendiamo in altro modo la rigenerazione italiana [...] Noi abbiamo sempre seguito una politica franca e leale, senza linguaggio doppio [...] mai non impiegheremo mezzi rivoluzionari, mai cercheremo di eccitare tumulti e ribellioni...”. Ogni riga delle lettere di Giuseppe La Farina, però, e ogni pagina del diario di Persano e del pamphlet di Boggio smentiscono, pur senza averne l'intenzione, le parole di Cavour e ridimensionano l’impresa militare di Garibaldi, descritto unanimemente come uomo popolare e trascinatore, ma del tutto inetto a governare e troppo facilmente influenzabile. "Il problema che dobbiamo sciogliere, scrive Cavour a Persano il 9 agosto 1860, è questo: aiutare la rivoluzione, ma far sì che al cospetto d'Europa appaia come atto spontaneo". Poche settimane prima, la Gazzetta ufficiale del Regno aveva pubblicato un lungo articolo che conteneva quest'altra solenne dichiarazione: "Il governo ha disapprovato la spedizione del generale Garibaldi, ed ha cercato di impedirla con tutti quei mezzi che la prudenza e le leggi gli consentivano". Pier Carlo Boggio, nell'intento di difendere l'interventismo di Cavour, considerandolo decisivo, scrive invece nel suo pamphlet di fine settembre 1860: "Questa spedizione per la Sicilia avrebbe  abortito, quando il Governo del Re l'avesse avversata. Dicano i Mauro Macchi e i Bertani [sostenitori di una presunta spontaneità e autonomia politico-militare della spedizione] da chi avessero i cannoni e le munizioni da guerra? E le somme ingenti di denaro? Dicano dove si alloggiassero le centinaia e talora le migliaia di volontari congregati in Genova per l'imbarco? O ci vorranno far credere che le caserme furono da questi occupate inconsapevole il Governo? Oppure che inconsapevole il Governo, poterono seguitare più mesi le quotidiane partenze di navi cariche d'armi e d'armati?". Per concludere: è vero che in guerra la prima arma è la menzogna, però mente chi ha torto, chi provoca la guerra. Cavour mentiva perché credeva nel principio che il fine giustifica i mezzi. Ma questo principio è causa di corruzione anche quando mezzi infami sono impiegati per un fine virtuoso. Se poi nemmeno il fine è virtuoso, come nell'azione del governo piemontese, il disastro è assicurato.

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