martedì 19 maggio 2020

Madame de Staёl (1766-1817), Corinne ou l'Italie. Gallimard, 1985.


Questo romanzo racconta la drammatica e improbabile storia d’amore fra l’inglese Oswald Nelvil e l’anglo-italiana Corinne, due personaggi poco simpatici perché astratti e stilizzati su un registro troppo enfatico; tuttavia contiene decine di profonde osservazioni sull’amore, sulle arti e sulla vita che, se fossero raccolte in un libretto, formerebbero da sole una meditazione morale di alta qualità.
Il pensiero che segue mi piace in modo particolare, perché sono anni che lo rimugino per resistere alla ventata di stupidità che soffia da qualche decennio sul mondo intero:
“Si impara a non arrabbiarsi troppo per gli avvenimenti del proprio tempo, se si considera l’eterna mobilità della storia degli uomini; e, davanti a tanti secoli che hanno tutti rovesciato l’opera dei loro predecessori, quasi ci si vergogna di essere sgomenti”.
A questo pensiero fa da contrappunto quest'altra considerazione di moderna e fragile sensibilità:
“Arriva fin troppo presto il momento in cui l’esistenza diventa faticosa sia in ogni suo istante che nel complesso della sua durata, il momento in cui ciascun mattino richiede uno sforzo per sopportare il risveglio e trascinare la giornata fino alla sera”.
Questi sentimenti crepuscolari fanno forse pensare che la Staёl avesse una natura riservata e introversa. Invece, come è noto, era una donna di grande personalità e dalla conversazione torrentizia. Sainte-Beuve ricorda un aneddoto molto divertente. Madame de Staёl era in una compagnia che, dopo una gita, tornava di sera verso casa in due carrozze. “Un temporale, con tuoni spaventosi, scoppiò durante il ritorno. In una delle due carrozze le dame si fecero prendere dalla paura; si fece fermare, e discesero nel momento in cui i tuoni erano più forti [...] Nell’altra carrozza, all’arrivo, si scoperse che si era fatta pochissima attenzione al temporale; non si erano quasi accorti di nulla [...] Gli è che un ben diverso bagliore aveva riempito la scena: la signora di Staёl si trovava nella carrozza, e durante il percorso non aveva fatto che parlare. La conversazione aveva avuto per punto di partenza le appassionate lettere della signorina di Lespinasse. La Staёl non aveva parlato sola, poiché ammetteva di buon grado le repliche, ma aveva tutti animato, esaltato e sollevato al proprio livello e al proprio grado di entusiasmo: una elettricità aveva fatto dimenticare l’altra”.
In “Corinne” l’amore dell’autrice per la conversazione si rispecchia in modo sovrabbondante. Fra i due protagonisti innamorati ci sono quasi soltanto lunghi dialoghi didascalici, che non costituiscono materia viva di racconto, anche se contengono frammenti personali e autobiografici che sono interessanti, ma che potrebbero figurar bene solo in un diario intimo. In un dialogo quasi declamato, invece, sembrano fuori posto e anzi disturbano. Per questi motivi il romanzo è poco leggibile e poco conosciuto. Tuttavia Madame de Staёl è una grande scrittrice. Ma, sollecitata dalla sua immensa cultura e, direi, moralmente impegnata a sviluppare i suoi ampi interessi storici e sociali, ha compresso volontariamente le sue notevoli capacità  di narratrice. Queste, però, si rivelano pienamente nelle poche descrizioni di paesaggio e d’ambiente, nelle acute osservazioni psicologiche sugli aggrovigliati rapporti fra Oswald e Corinne e fra Oswald e Lucile, nelle rare ma penetranti descrizioni fisiche di personaggi minori (Madame d’Arbigny e la stessa Lucile), nella satira di costume (la cerimonia del tè nei buoni salotti inglesi).
La descrizione del convento romano dei Certosini è bellissima.
“Il modo di vivere dei Certosini presuppone, negli uomini che sono capaci di adattarvisi, o uno spirito estremamente limitato, oppure la più nobile e costante esaltazione dei sentimenti religiosi. Questa successione di giorni senza varietà di avvenimenti richiama quel verso famoso: ‘Sui mondi distrutti il Tempo immobile dorme’. Sembra che la vita serva là dentro solo a contemplare la morte. La mobilità delle idee, in una esistenza così uniforme, sarebbe il più crudele dei supplizi. In mezzo al chiostro si alzano quattro cipressi. Quest’albero nero e silenzioso, che nemmeno il vento riesce ad agitare, non introduce in quello spazio alcun movimento. Accanto ai cipressi c’è una fontana da cui esce un filo d’acqua che si sente appena, tanto il getto è debole e lento; si direbbe che è la clessidra adatta a quella solitudine, dove il tempo fa così poco rumore. A volte la luna vi penetra con la sua pallida luce, e la sua assenza e il suo ritorno in quella vita monotona sono dei grandi avvenimenti”.
Questo romanzo è citato più volte all’inizio dello Zibaldone di Leopardi, e in effetti contiene idee che non potevano non piacere al poeta di Recanati. Per esempio, questa:
“La civilizzazione tende costantemente a rendere tutti gli uomini simili in apparenza e quasi uguali nella sostanza; ma lo spirito e l’immaginazione si sviluppano nelle differenze che distinguono le nazioni: gli uomini tendono ad assomigliarsi fra loro solo grazie all’affettazione o al calcolo; invece tutto ciò che è naturale è vario”.
E questo era il grande intelletto di Madame de Staёl!

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