In un passo dei suoi Quaderni, o forse in un articolo scritto prima
della sua carcerazione, Antonio Gramsci dà molto valore al legame stretto fra
il cittadino critico e consapevole e il giornale che egli compra ogni giorno.
Gramsci considerava il giornale un’arma importante nella lotta per il
socialismo, per la democrazia o, più genericamente, per sostenere gli ideali in
cui il lettore militante crede.
Perché il giornale di idee diventi veramente un organismo vivo occorre poi
che i lettori non siano una massa passiva a cui impartire lezioni dall’alto, ma
abbiano una funzione attiva di incoraggiamento, di proposta e anche di critica,
quando non sono d’accordo con le idee del giornale.
Con i giornali che ho via via adottato come una bandiera ho avuto un
rapporto di fiducia e persino di affetto (e, quando la fiducia e l’affetto
erano spariti, almeno di rispetto), che è durato anni, anche dopo che avevo
cominciato a tempestare la redazione con lettere di critica. Benché pochissime di
quelle lettere fossero pubblicate (solo
le più “educate” e insignificanti), io continuavo a scrivere imperterrito. Ma
dopo un periodo più o meno lungo di dissenso operoso (benché ignorato), il sentimento di essere stato ingannato, alla fine, mi ha sempre convinto a rompere e a
cambiare giornale. I miei giornali
sono stati l’Unità, il Manifesto, il Quotidiano dei lavoratori, la Repubblica
e, infine, il Fatto Quotidiano.
Il Fatto ha avuto un ruolo importante nel contrastare l’era di Matteo Renzi
e il suo tentativo di cambiare la Costituzione. Gli editoriali quotidiani di
Marco Travaglio sono stati per me la parte più interessante e, assieme ai
corsivi al curaro di Daniela Ranieri, divertente del giornale. Travaglio,
ottimo giornalista, è però un direttore mediocre o addirittura
rinunciatario, tanto che il giornale sembra un collage di articoli disparati e
contrastanti. Travaglio dice: “Siamo un giornale libero e non censuriamo
nessuno”. Ma gli articoli violenti di Furio Colombo, le dichiarazioni esaltate
di Roberto Saviano, le rozze vignette di Vauro, le accuse di
razzismo e xenofobia, campate in aria, lanciate da vari collaboratori
minori, refrattari al principio di realtà, gli articoli dozzinali e supponenti
di Andrea Scanzi, ecc. non possono
restare senza risposta. Ai lettori non è data voce, se non per delle letterine, preferibilmente piene di salamelecchi, che sono solo un’eco degli articoli del giornale.
“Eh sì, bisogna abbassare le tasse”; “Eh sì, il razzismo è una brutta cosa”;
“Eh sì, basta coi politici che rubano”; “Eh sì, la Costituzione è la nostra
trincea”; “Eh sì, dovreste scrivere meglio e imparare a usare la ‘d’ eufonica, la virgola e il punto esclamativo” (la risposta sorprendentemente seria del Fatto è stata: “Grazie: faremo tesoro dei suoi
consigli”).
In un breve scambio di e-mail che ho avuto recentemente con Travaglio ho
criticato le sue posizioni filo-israeliaene e gli ho ricordato un importante discorso critico che Vittorio Arrigoni rivolse a Roberto Saviano, anche lui sostenitore della politica israeliana. Nella sua
risposta Travaglio non ha fatto cenno alla figura di quell'eroico giovane; così come non reagisce, perché non se ne sente offeso, alla astiosa virulenza di un Furio Colombo. “Siamo un giornale libero e non censuriamo
nessuno”: ma questo è un principio piatto e superficiale.
Eh sì, - mi viene di concludere, facendo anch'io eco a pensieri altrui (di qualche moralista di ieri, come Pascal, e di oggi, come Ernesto Rossi) - non basta essere onesti, non basta essere
intelligenti, non basta essere competenti. Bisogna anche avere cuore, bisogna anche avere un sentimento vivo della cultura e del passato per non cadere in una facile e sterile soddisfazione di sé. Non si possono cercare continuamente metafore e commenti alla nostra vita pubblica nella comicità di Totò e di Fantozzi, senza immiserire la propria prospettiva. Non si possono cercare continuamente 'moralità' nelle canzoni di Giorgio Gaber, di Fabrizio De André e di altri degni (ma anche sconosciuti) cantanti, senza che gli articoli assumano alla lunga il tono di un giornaletto parrocchiale. E la figura di Indro Montanelli, nume di Marco Travaglio, è troppo modesta, in confronto ad altri intellettuali del suo tempo profondi, seri e coraggiosi, per ispirare una linea culturale e politica che abbia originalità e sostanza. Se non si è anche generosi e severi, il non censurare nessuno (cosa poi non del tutto vera) si risolve in una piatta confusione. Ci vuole il coraggio del cuore per comprendere le persone e le situazioni straordinarie e per avvicinarsi alla verità dei fatti e delle ragioni.
4 commenti:
Perché non la mandi a Travaglio?! dai...
D'accordo con le critiche mosse al Fatto ed a Travaglio. Anch'io sono deluso sopratutto perché in aggiunta ai motivi da lei citati, vi è l'aggravante dell'ingresso da qualche mese di giornalisti, cantori delle politiche neoliberiste o molto vicini a quella parte (molto consistente) del PD iperneoliberiste, ipocrita lobbista. Per non parlare di Padellaro sempre più ambiguo, al punto tale da avere fatto ultimamente endorsement alla Meloni ed. a SALVINI un disastro
Dimenticavo Scanzi su cui è meglio stendere un pietoso velo
I giornale meritevole d'attenzione è invece la Notizia di Pedulla'purtroppo a scarsa tiratura A questo punto che leggere?
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